Il suicidio assistito dell’ex assessore malato di sclerosi

Viaggio in Svizzera dopo il biotestamento I suoi occhi volevano il cielo, non le pareti di una stanza: «Non potrei sopportare di guardare il soffitto per il resto dei miei giorni». Vittorio Bisso voleva scegliere il come e il quando, non lasciare che fosse lo scorrere del tempo a farlo: «Voglio decidere io della mia vita».
Bisso aveva 55 anni e una nemica spietata, la Sclerosi laterale amiotrofica. Martedì mattina le sue mani hanno obbedito all’ultimo ordine del suo cervello: si sono mosse per far arrivare alle labbra la pozione mortale a base di pentobarbital. Pochi minuti per perdere conoscenza, una ventina in tutto per bloccare la respirazione. E nemmeno l’ombra di un dolore.

Viaggio in Svizzera dopo il biotestamento I suoi occhi volevano il cielo, non le pareti di una stanza: «Non potrei sopportare di guardare il soffitto per il resto dei miei giorni». Vittorio Bisso voleva scegliere il come e il quando, non lasciare che fosse lo scorrere del tempo a farlo: «Voglio decidere io della mia vita».
Bisso aveva 55 anni e una nemica spietata, la Sclerosi laterale amiotrofica. Martedì mattina le sue mani hanno obbedito all’ultimo ordine del suo cervello: si sono mosse per far arrivare alle labbra la pozione mortale a base di pentobarbital. Pochi minuti per perdere conoscenza, una ventina in tutto per bloccare la respirazione. E nemmeno l’ombra di un dolore.
Vittorio Bisso era un consigliere comunale (ed ex assessore) dei Comunisti italiani nella sua Dolo, a un passo da Venezia. Fino a due anni fa la sua vita era politica, moto e famiglia. Per dirla con le parole del fratello Sergio «siamo cresciuti a pane, sport e comunismo». Poi i primi sintomi, la diagnosi dopo sei mesi e all’inizio di quest’anno un crescente inesorabile peggioramento. Dignitas, l’associazione svizzera che si occupa di suicidi assistiti, è diventata la sua via di fuga dal mondo. Via dall’idea di restare imprigionati per anni in un corpo immobile, via dalla prospettiva di tubicini che ti tengono vivo a forza di flebo e dalle macchine che respirano al posto tuo. Vittorio aveva nominato la moglie «amministratore di sostegno» con un atto presentato dal suo avvocato e amico, Massimiliano Stiz, al tribunale di Dolo. Un testamento biologico nel quale specificava che non avrebbe mai voluto nessuna forma di accanimento terapeutico.
«La cosa che temeva più di tutto — racconta Sergio — era essere intubato perché sapeva che entrare in un ospedale italiano in quelle condizioni voleva dire rimanerci fino alla morte. E invece lui voleva scegliere finché poteva farlo e noi l’abbiamo sempre sostenuto».
Giovedì scorso la telefonata dalla Svizzera: «Potreste arrivare per lunedì? Ci sarebbe una possibilità…». Tre giorni per preparasi a morire, per salutare gli amici più stretti e la famiglia di suo fratello. Tre giorni per avere ancora accanto, a casa sua, la moglie Marisa, il figlio Davide e la compagna di lui, per respirare ancora un po’ di vita, quel minimo che arrivava in un fisico ormai governato dalla malattia. «Te la senti ancora? Sei sicuro?» gli ha chiesto il fratello ora che era arrivato davvero il tempo di morire. «Ascolta» ha attaccato lui, «non riesco più a mangiare, non riesco più a far niente. Non ce la faccio più. Sì, sono sicuro».
Proprio giovedì, il giorno della telefonata che ha segnato il tempo di Vittorio, Sergio è passato a trovarlo. «Ero andato a dirgli che poche ore prima era morto Landino, un nostro cugino gravemente malato. Lui ci ha pensato un momento e poi ha detto in dialetto “Mi ha fregato”. C’era anche sua moglie. Ci siamo guardati tutti e tre e ci siamo fatti una risata. È stata l’ultima volta che l’ho visto ridere…».
L’addio, invece, è stato lunedì mattina in aeroporto. È sempre Sergio che racconta: «Ha voluto che ci fossimo io e mia moglie oltre alla sua famiglia che poi l’ha accompagnato in Svizzera. Siamo rimasti assieme le ultime due ore ma non ci siamo detti niente, solo un saluto breve con un filo di voce».
Martedì mattina la dose senza ritorno di pentobarbital, fra una decina di giorni arriveranno in Italia le sue ceneri e intanto sabato mattina nella piazza centrale di Dolo gli amici, i compagni di partito e i parenti si ritroveranno per ricordarlo. Lo hanno già fatto in moltissimi sulla sua pagina Facebook dove in primo piano campeggiano le copie di due vecchie pagine (28 febbraio 2012) del quotidiano La nuova Venezia e Il Gazzettino. I titoli sono la promessa che Vittorio Bisso aveva fatto a se stesso: «No all’accanimento terapeutico» e «Decido io della mia vita». E poi ci sono fotografie, tante. Lui sulla sua moto, lui con la moglie, con gli amici. E lui in Thailandia, nel viaggio della speranza. «Il puntaspilli» dice una serie di sei fotografie con un medico thailandese che gli infila piccoli aghi nella pelle. Il suo commento è «mi sento… come prima». Come uno che va dritto in direzione del burrone.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password