Garaudy, l’ideologia che acceca

Passò da Stalin all’Islam, poi negò la storicità  della Shoah

Passò da Stalin all’Islam, poi negò la storicità  della Shoah Roger Garaudy è l’ultimo a scomparire della generazione di intellettuali impegnati che dominarono le cronache culturali europee del secondo Dopoguerra. Figura certamente minore e che non lascia grandi tracce per la sua produzione critica — benché abbia conosciuto una certa fortuna anche in Italia tra la seconda metà degli anni Sessanta e la metà dei Settanta — Garaudy, nato nel 1913 e scomparso mercoledì, ha riassunto più di altri, e in forme più estreme e talvolta addirittura grottesche, il modello dell’intellettuale impegnato, soprattutto nel furore ideologico con cui difendeva le verità assolute della parte in cui militava.

Comunista nel periodo centrale della sua vita, dai venti ai quasi sessant’anni, Garaudy si è distinto a lungo e in più occasioni come il guardiano dell’ortodossia del partito comunista più ortodosso dell’Occidente, quello francese. Dirigente del Pcf e suo «filosofo ufficiale» per circa un ventennio, Garaudy — che aveva trascorso in un campo di concentramento gli ultimi anni di guerra dopo essere stato arrestato dalla polizia di Vichy — nel dicembre 1945 attaccò Sartre e l’esistenzialismo, considerato «una malattia» propagata da un «falso profeta».
Nel 1948 pubblica un libretto, Letteratura da becchini, dove se la prende nuovamente con Sartre, ma anche con Mauriac, Malraux e Koestler, tutti al soldo della reazione. Nel 1949 è chiamato a testimoniare al «processo Kravcenko» e assolve l’Urss dall’accusa di avere campi di lavoro, definendola una «propaganda nazista». Nel 1950 è la sua volta di accusare Mounier e la sua rivista «Esprit» di prendere le parti di Tito e dei traditori jugoslavi e di avere ospitato scritti di Vittorini e Lukács, scrittori estranei «alle posizioni scientifiche del partito».
Nel 1956 la rivolta d’Ungheria scuote anche i partiti comunisti, compreso quello francese. Nel Comitato centrale del 20 e 21 novembre Garaudy attacca violentemente un appello di «dieci compagni» che vogliono sostituire il proprio punto di vista individuale a quello di classe e costituirsi in frazione, ma il giorno dopo «L’Humanité» non rivela i loro nomi per paura che scoppi uno scandalo (tra essi ci sono Picasso, Edouard Pignon, Henri Wallon e Victor Leduc). Nel 1968, infine, Garaudy è incaricato di ricevere una quarantina tra i maggiori intellettuali francesi vicini alla sinistra che accusano il Pcf di avere perso ogni rapporto con le masse studentesche e chiedono un cambio di linea. Tra essi Jean-Pierre Vernant che commenterà: «Abbiamo perso su tutto. Il partito si sbaglia pesantemente».
Con lo stesso Vernant, Garaudy incrocerà nuovamente la penna a metà degli anni Novanta. Il filosofo marxista ortodosso, accusato nel 1959 da François Furet, all’epoca marxista anche lui, di «idealismo volontarista» e invitato a riscoprire il «materialismo storico», ha ormai cambiato fede in modo plateale, con lo stesso spirito fondamentalista con cui aveva difeso lo stalinismo. Dopo un percorso di autonomia critica dal marxismo ufficiale (che gli permette di difendere Kafka, accusato dai suoi compagni comunisti di non essere uno scrittore «realista», e di entrare in contatto con altri filosofi «revisionisti», come Kolakowski in Polonia e Fischer in Austria) viene espulso nel 1970 dal Pcf, e si converte prima al cattolicesimo e poi all’Islam (negli ultimi anni da marxista aveva cercato di far convivere la fede rivoluzionaria con quella religiosa).
È in nome dell’Islam, e di una avversione che diventa odio verso Israele, che Garaudy si lancia a metà degli anni Novanta nella difesa del negazionismo (con il libro I miti fondatori della politica israeliana), sfidando la legge Gayssot, che in Francia punisce chi nega l’esistenza delle camere a gas e la storicità della Shoah. Vernant, che come la maggior parte degli storici francesi è contrario alla legge Gayssot e ha fondato l’associazione Liberté pour l’Histoire, è però tra i maggiori critici dei negazionisti, di cui mette in evidenza le menzogne e le contraddizioni, dettate da un fanatismo capace di stravolgere ogni verità storica se ritenuta contraria ai propri interessi.
Garaudy è condannato nel 1998 a una pena carceraria, che viene commutata in una multa per la sua età avanzata. Omaggiato dai presidenti di Siria e Iran e dai leader di Hezbollah, i suoi ultimi anni sono dedicati alla battaglia contro la «lobby sionista internazionale».

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