E D’Ambrosio disse: parlo io con Grasso

Così il consigliere del Colle rassicurò Mancino. Il pg della Cassazione all’ex ministro: “Sempre adisposizione”   

Così il consigliere del Colle rassicurò Mancino. Il pg della Cassazione all’ex ministro: “Sempre adisposizione”   

PALERMO.  — Quando Nicola Mancino telefonava preoccupato per l’inchiesta sulla trattativa, il consigliere giuridico del Quirinale Loris d’Ambrosio era prodigo di consigli. E spesso, non erano proprio consigli giuridici. Il 5 marzo scorso, ipotizzò: «Io direi che l’unica cosa che si possa fare è parlare con il procuratore nazionale Grasso. In udienza, il pm Di Matteo è autonomo».
CONSIGLI E PROMESSE
Così parlava D’Ambrosio. A Mancino non avrebbe offerto solo consigli per dribblare l’indagine di Palermo, ma anche il suo personale interessamento per perorare la causa al Quirinale. Il 5 aprile, il consigliere giuridico lesse addirittura in anteprima la lettera appena inviata dal segretario generale della presidenza della Repubblica al procuratore generale della Cassazione. E rassicurò Mancino: «Ho parlato sia con Ciccolo che con Ciani (rispettivamente, sostituto e procuratore generale che si sarebbe insediato a giorni, ndr), hanno voluto la lettera così fatta per sentirsi più forti». È la lettera resa nota sabato dal Quirinale, che chiedeva informazioni sulle doglianze di Mancino, a proposito di un presunto mancato coordinamento nelle indagini sulla trattativa.
All’epoca, Nicola Mancino era solo un testimone dell’inchiesta di Palermo, eppure sembrava parecchio preoccupato per gli sviluppi dell’indagine. I pm e la Dia lo stavano già intercettando, sospettando che nascondesse qualcosa. Intanto, lui continuava a fare telefonate eccellenti. Il 15 marzo, si era addirittura complimentato con il procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, per la sua iniziativa di chiedere alcuni atti alla Procura di Caltanissetta. Esposito non lo deluse: «Comunque, io sono chiaramente a sua disposizione. Adesso vedo questo provvedimento e poi ne parliamo. Se vuole venirmi a trovare — aggiunse — quando vuole». Mancino frenò: «Guagliò, come vengo, vado sui giornali». Ed Esposito scoppiò a ridere.
EVITARE IL CONFRONTO
Il 5 marzo, l’ex ministro dell’Interno era davvero furioso, per una dichiarazione del pm Di Matteo al processo che vede imputato il generale Mario Mori: «Ha detto che ci sono contraddizioni fra Mancino, Martelli e Scotti», spiegò Mancino a Loris D’Ambrosio. La procura si stava ormai apprestando a chiedere un confronto in aula fra gli ex ministri del ‘92. Mancino chiese: «Cosa si può fare?». Senza mezzi termini, sperava in un intervento del Quirinale. D’Ambrosio rispose: «Ma lui l’ha già chiesto il confronto? ». E proseguì: «Io per adesso posso parlare con il presidente. Si è preso a cuore la questione, ma non lo so. Francamente la ritengo difficile ».
Mancino disse di confidare in una decisione del tribunale che sta processando Mori: «Il collegio lì è equilibrato. Come ha ritenuto inutile il confronto con Tavormina (l’ex capo Dia, ndr) potrebbe rigettare per analogia». Ma D’Ambrosio non sembrò prendere in considerazione l’ipotesi, e rilanciò: «Sì, ma intervenire sul collegio è una cosa molto delicata. Quello che si può fare, più facile è parlare con il pm». Mancino era d’accordo: «Questo l’ho capito», tagliò corto. E D’Ambrosio aggiunse: «Ma non Messineo (il procuratore di Palermo, ndr), che non dirà mai…». Mancino dissentì: «L’unico che
può dire qualcosa è Messineo e l’altro è il direttore nazionale antimafia Grasso. Io gli voglio parlare perché sono tormentato». D’Ambrosio tagliò corto: «Io direi che l’unica cosa che possa fare è parlare con il procuratore nazionale. In udienza Di Matteo è autonomo».
GRASSO NEGA INTERFERENZE
Il 12 marzo, Mancino tornò a chiamare D’Ambrosio, e chiese: «Veda se Grasso può ascoltare anche me in maniera riservatissima, che nessuno sappia niente». Quella volta, il consigliere giuridico del Quirinale fu più sbrigativo: «Lo devo vedere domani».
Non era la prima volta che i due interlocutori discutevano di interessare il procuratore nazionale del caso Palermo. Il 25 novembre 2011, Mancino aveva spiegato al consigliere di Napolitano di avere incontrato Piero Grasso: «L’ho visto in una cerimonia, stava davanti a me. Mi ha detto: “Quelli lì danno solo fastidio”. E ha aggiunto: “Ma lei lo sa che noi non abbiamo poteri di avocazione”. Io ho detto: “Ma poteri di coordinamento possono essere sempre esercitati”».
Il procuratore Grasso, interpellato da Repubblica, spiega di non avere mai pronunciato la frase riferita da Mancino a D’Ambrosio:
quelli lì — ovvero i magistrati di Palermo — danno solo fastidio. «Non nego di avere potuto esprimere delle opinioni, ma non ho mai espresso la considerazione riferita nel corso della telefonata — ribadisce Grasso — incontrai casualmente Mancino, durante una cerimonia al Quirinale, mi limitai a spiegare quali sono i poteri di coordinamento che la legge mi attribuisce ». Grasso tiene a ribadire la risposta data in questi giorni dai pm di Palermo: «Non c’è stata alcuna interferenza sulle indagini. Non ho mai parlato con D’Ambrosio di Mancino o dell’inchiesta sulla trattativa, della quale mi sono occupato
soltanto esercitando i poteri di coordinamento che la legge mi attribuisce. Dunque — conclude Grasso — possiamo dire che la legge è rimasta uguale per tutti».
Dopo la nota del Quirinale, il nuovo procuratore generale della Cassazione ha chiesto chiarimenti a Grasso sulla questione coordinamento. Il procuratore nazionale ha risposto. E sembra proprio che tutto sia finito lì. Ma il caso Mancino-D’Ambrosio sembra proseguire.
INTERROGATORIO A SORPRESA
A sorpresa, al telefono, anche D’Ambrosio ha detto a Mancino qualcosa sulla trattativa: «Per la parte 41 bis c’erano Mori, polizia, Parisi, Scalfaro e compagnia. Per la parte dei colloqui investigativi e rapporti un po’ sconsiderati, invece, Di Maggio-Mori». Nei giorni scorsi, i pm hanno interrogato anche D’Ambrosio, come testimone, per chiedergli conto di queste parole.

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