Una biografia di Pivetta sulla figura del celebre intellettuale
Una biografia di Pivetta sulla figura del celebre intellettuale
Togliamoci dalla testa l’idea di Franco Basaglia come un san Francesco della povertà mentale, un guru sensibile e caritatevole votato alle ragioni di pazzi veri o presunti. Finiamola d’inchiodarlo a quella caricatura che lo etichetta come “il profeta dell’antipsichiatria”, come un uomo ossessionato dalla chiusura dei manicomi. Soprattutto non identifichiamolo con la legge 180, che porta sì il suo nome, ma di fatto è stata formulata da uno psichiatra e parlamentare democristiano, dal meno noto Bruno Orsini. Una legge discutibile e discussa, quella approvata nel ’78, non proprio il risultato di un pensiero culturale e politico contrario alla medicalizzazione della follia che ha consentito i peggiori abusi.
Amato e odiato, considerato un genio e un impostore, oggi Basaglia
andrebbe ripensato come uno dei grandi intellettuali del secolo scorso: questa è la tesi principale della biografia scritta da Oreste Pivetta, che esce ora con un titolo popular come Franco Basaglia. Il dottore dei matti (Dalai, pagg. 286, euro 17). È riuscito il tentativo di tracciarne un ritratto più autentico, ora che certe ubriacature ideologiche sono definitivamente alle spalle, ora che è più chiara la distanza di Basaglia dalle banalizzazioni antipsichiatriche, dall’esaltazione della devianza e delle sregolatezze individuali. In quei due decenni – Sessanta e Settanta – complessivamente segnati, per dirla con Magris, da “una confusa esigenza messianica”, Basaglia è stato un tipico leader carismatico, forse travolto dal successo e trascinato da un movimento che a tratti perdeva il senso della misura. Ma la sua utopia – ci dice l’autore del libro – non era mai “un sogno strampalato”, piuttosto una pratica rigorosamente etica, era un fare continuo e inventivo, la determinazione di “mettere una pietra accanto all’altra”.
Ma a Pivetta non basta far intuire come la questione delle persone più sofferenti ed emarginate fosse diventata per Basaglia una sfida radicale per una società
incapace di accogliere “tutte” le diversità che ospita, “tutte” le figure del disagio, di costruire relazioni meno brutali e più umane. Il suo controverso personaggio viene puntigliosamente contestualizzato in quella irripetibile stagione del nostro Paese, nei fatti ormai storici come nell’informazione, e anche nel cinema e nella fotografia, nel teatro e nella letteratura che ha ispirato. C’è tutto intero il percorso personale e professionale, il carattere dell’uomo, le idiosincrasie e le generosità del veneziano amico di Hugo Pratt. Dalla militanza antifascista all’esperienza fallimentare dell’università, alla direzione degli ospedali psichiatrici di Gorizia e Trieste, Basaglia risulta un protagonista del suo tempo, apprezzato da personaggi come Sartre e Pasolini, capace di senso politico, di costruire alleanze, di contare sempre su collaboratori eccellenti. Come lo stesso Giovanni Jervis, anche se poi se ne allontanò, seguendo tutt’altra strada – fino all’agosto di tre anni fa. Pivetta fa bene a non presentare Jervis come il nemico di Basaglia, a combattere l’idea di un duello che c’è stato solo per chi ama le più sciatte semplificazioni.
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