Roma, Piazza Indipendenza, 2 febbraio 1977

 

Mi vengono in mente i versi iniziali di "Domande di un lettore operaio" di Brecht: “Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?/ Dentro i libri ci sono i nomi dei re/ I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?”. Brutta bestia la Storia, redatta quasi sempre dai vincitori e dai loro scriba: la Storia dimentica chi ci ha provato e non ce làha fatta. Sappiamo molto delle guerre lontane nel tempo e poco o nulla sulle battaglie dell'altro ieri, soprattutto se meno eclatanti, interne, fratricide, come quelle combattute nell'Italia finto-democratica degli anni Settanta, in cui càera chi tramava e chi tremava, chi sparava e chi sperava, e nessuno poteva dirsi davvero estraneo allo stato delle cose (“per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti”, cantava De Andrè). Meno che mai i capibastone del Parlamento - da Moro a Berlinguer - avulsi al destino delle masse, aldilà  dei manifesti e dei vessilli di facciata. Brutta bestia anche la politica, di certo quella dei partiti.

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Daddo e Paolo. L’inizio della grande rivolta

 

 

 

 

  Roma, Piazza Indipendenza, 2 febbraio 1977

 

Mi vengono in mente i versi iniziali di “Domande di un lettore operaio” di Brecht: “Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?/ Dentro i libri ci sono i nomi dei re/ I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?”. Brutta bestia la Storia, redatta quasi sempre dai vincitori e dai loro scriba: la Storia dimentica chi ci ha provato e non ce làha fatta. Sappiamo molto delle guerre lontane nel tempo e poco o nulla sulle battaglie dell’altro ieri, soprattutto se meno eclatanti, interne, fratricide, come quelle combattute nell’Italia finto-democratica degli anni Settanta, in cui càera chi tramava e chi tremava, chi sparava e chi sperava, e nessuno poteva dirsi davvero estraneo allo stato delle cose (“per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti”, cantava De Andrè). Meno che mai i capibastone del Parlamento – da Moro a Berlinguer – avulsi al destino delle masse, aldilà  dei manifesti e dei vessilli di facciata. Brutta bestia anche la politica, di certo quella dei partiti.

 

 

 

 

  Roma, Piazza Indipendenza, 2 febbraio 1977

 

Mi vengono in mente i versi iniziali di “Domande di un lettore operaio” di Brecht: “Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?/ Dentro i libri ci sono i nomi dei re/ I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?”. Brutta bestia la Storia, redatta quasi sempre dai vincitori e dai loro scriba: la Storia dimentica chi ci ha provato e non ce làha fatta. Sappiamo molto delle guerre lontane nel tempo e poco o nulla sulle battaglie dell’altro ieri, soprattutto se meno eclatanti, interne, fratricide, come quelle combattute nell’Italia finto-democratica degli anni Settanta, in cui càera chi tramava e chi tremava, chi sparava e chi sperava, e nessuno poteva dirsi davvero estraneo allo stato delle cose (“per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti”, cantava De Andrè). Meno che mai i capibastone del Parlamento – da Moro a Berlinguer – avulsi al destino delle masse, aldilà  dei manifesti e dei vessilli di facciata. Brutta bestia anche la politica, di certo quella dei partiti.

Nel 1977 “Daddo” e Paolo ai cortei ci andavano con le pistole (si usava all’epoca), ma non erano peggiori dei servizi segreti deviati che uccidevano dall’ombra, o dei “neri” vigliacchi che assaltavano le Università. E nemmeno di quei poliziotti infiltrati che saltavano fuori dalle 127 facendo fuoco altezza uomo sulla “coda” dei cortei. Almeno Daddo e Paolo li potevi guardare in faccia, sapevi chi erano. Il 2 febbraio 1977, per esempio, restano immortalati dalla Storia: allora e per sempre gli Eurialo e Niso della seconda guerra civile italiana. Nello scatto metropolitano di Tano D’Amico si vede Daddo che torna sui suoi passi per soccorrere l’amico colpito da diversi proiettili alla gamba. Poteva svignarsela, salvarsi, mettere la polvere tra sé e i mitra della polizia in borghese e invece non l’ha fatto. A piazza Indipendenza, Roma, il giorno dopo l’aggressione fascista alla Facoltà di Scienze Politiche, è in corso una manifestazione di protesta e c’è qualcuno che a un certo punto si mette a sparare. Una frazione di secondo e anche Daddo è ferito. Seguono congressi improvvisati di gente comune, ambulanze, paginate di giornali, anni di processi e carcere: questi ultimi lunghi, lunghissimi, quasi infiniti; perché la Storia la scrivono – con arroganza – sempre i vincitori.

La vicenda di amicizia & militanza che il 2 febbraio 1977 segna le vite di Paolo Tomassini e Leonardo (Daddo) Fortuna è adesso un libro edito da DeriveApprodi, tra le pochissime realtà editoriali che racconta il corso degli eventi dal punto dei vista dei vinti. Lo fa anche nella circostanza, avvalendosi dei contribuiti di chi all’epoca delle fragole e del sangue, c’era e faceva (Lanfranco Caminiti, Claudio D’Aguanno, Tano D’Amico, Giancarlo Davoli, Turi Filaccia), altro che se faceva. Un volume su (quel) tempo e (quel) luogo, un album – di scatti, di ricordi, di parole – di storia contemporanea da sottrarre alla rimozione (o, peggio, alla falsificazione), omaggio a chi staziona, da allora, dalla parte del torto, fiero di esserlo, con un senso di appartenenza, e uno slancio quasi romantico, irripetibile. La lotta era senza quartiere da ambo le parti (Stato e Movimento), le pistole, aldilà dei fariseismi di comodo, non si spiegano in altro modo.

Il libro si intitola “Daddo e Paolo. L’inizio della grande rivolta. Roma, Piazza Indipendenza, 2 febbraio 1977” e chiunque abbia a cuore il mantenimento di una memoria a lungo termine, senza paraocchi, dovrebbe dargli un’occhiata. Ne vale la pena: il punto di vista sulla Notte della Repubblica non è soltanto quello che si legge nei manuali di scuola o nei libri di Montanelli (con rispetto parlando).

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