Il documento del consigliere di Napolitano. Poi tutto saltò
Il documento del consigliere di Napolitano. Poi tutto saltò
La conferma ufficiale che il Quirinale si attivò per la concessione della grazia a Bruno Contrada – numero tre del Sisde, condannato a 10 anni in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – è la lettera che qui pubblichiamo a firma Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente Napolitano, che l’avvocato difensore Giuseppe Lipera riceve il 24 dicembre 2007. D’Ambrosio lo informa che a seguito della sua lettera il Capo dello Stato si è attivato per dare avvio all’iter istruttorio per la grazia investendo l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Lo stesso Mastella, che oggi da noi interpellato risponde di non ricordare di aver avuto tra le mani questa richiesta. “Presi quella risposta come un regalo di Natale” dice Lipera che il 20 dicembre aveva inviato a Napolitano una missiva implorante in cui evidenziava lo stato di prostrazione del suo assistito sottolineando che Contrada, ritenendosi vittima di un errore giudiziario, la grazia mai l’avrebbe chiesta, anzi, si sarebbe aspettato un riconoscimento dallo Stato per averlo servito e precisando che l’atto di clemenza può esser concesso anche in assenza di “domanda o proposta”.
MA A DISTANZA di due giorni dalla lettera di D’Ambrosio, il Quirinale fa marcia indietro. Cosa è accaduto? Rita Borsellino, rientrando a casa aveva letto la notizia su Televideo e subito aveva dichiarato all’Ansa che era una cosa sconcertante. Passano pochi minuti e riceve la telefonata di Napolitano al quale lei ripete lo stesso concetto. Il Presidente le ripete: “Conosco quali sono le mie prerogative”. A quel punto la Borsellino diceva alle agenzie: “Ho parlato ora con Napolitano, mi sono tranquillizzata”. Da quella volta, racconta la sorella del giudice, il Presidente in occasione di incontri ufficiali le ha sempre mostrato freddezza. Lipera legge l’agenzia di quel giorno, si mette in allarme e all’Ansa a sua volta annuncia: “Domani andrò a parlare con il Presidente”. Il 31 dicembre 2007, infatti, senza alcun appuntamento, Lipera si presenta al Colle. A riceverlo, D’Ambrosio: “La stavamo aspettando” e imbarazzato prosegue: “Quella cosa non va più bene perché il suo cliente sta dicendo che non chiederà mai la grazia”. Lipera ricorda all’interlocutore di averlo già scritto nella sua lettera e che questo non aveva impedito al Presidente di avviare l’iter visto che l’avrebbe potuta concedere di sua sponte. Infine, gli fa notare come tutto quello che sta sostenendo contraddica il contenuto della lettera che porta la sua firma. D’Ambrosio resta muto. Era stata la telefonata di Rita Borsellino a far fare marcia indietro al Quirinale? Uscito dal Colle, l’avvocato Lipera legge sul Corriere della Sera un articolo dal titolo: “La supplica del difensore non più interpretabile come richiesta di clemenza dopo le dichiarazioni di Contrada” in cui si anticipa il colloquio con D’Ambrosio, appena terminato, dando del contenuto però una versione diversa. Il Corsera scrive: “Napolitano ha comunicato a Mastella, che ne ha già preso atto, che non debba avere ulteriore corso la procedura aperta a seguito della ‘implorazione-supplica’ inviata dall’avvocato Lipera” in quanto “essendo venute meno le condizioni formali, la volontà manifestata dal dottor Contrada di non voler chiedere un atto di clemenza oltre al preannuncio della presentazione di un ricorso per la revisione della condanna”. “Io non ho mai chiesto la grazia, ho sollecitato il Presidente ad avviare un procedimento di sua iniziativa”.
ORA OCCORRE fare un passo indietro. Il primo luglio 1992, giorno di insediamento di Nicola Mancino al ministero dell’Interno, Paolo Borsellino sta interrogando il boss Gaspare Mutolo e riceve una telefonata, così come lo mette a verbale proprio il pentito: dobbiamo interrompere, dice Borsellino, Mancino mi vuole incontrare. Si reca al Viminale assieme al procuratore aggiunto Aliquò. Borsellino entra e lui aspetta fuori. Incontro che Mancino ha sempre negato. Mutolo racconterà che Borsellino al suo ritorno esclamò: “Mi hanno fatto trovare Contrada! ”. Quello stesso Contrada che Mutolo stava indicando come colluso con il boss Rosario Riccobono. Un nome che inquietava particolarmente il giudice. Un giorno la figlia Lucia gli chiese: “Papà chi è quel Contrada di cui ho sentito parlare in tv? ”. Borsellino, sebbene in famiglia evitasse ogni riferimento al suo lavoro, rabbuiandosi rispose: “Dove hai sentito questo nome? Solo a farlo si può essere ammazzati”. Il 5 giugno scorso, la Seconda Sezione Penale della Cassazione ha confermato il no alla revisione del processo per il numero tre del Sisde: “Contrada non è vittima di un complotto dei pentiti”. Eppure ha rischiato di essere graziato.
0 comments