Sfogliando vecchie riviste di storia ho trovato un articolo che riguarda Giuseppe Mazzini. Si intitola Mazzini terrorista. C’è pure la raffigurazione di Felice Orsini che prepara una delle bombe che nel 1859 Francesco Crispi fece fabbricare in serie in Sicilia. Ora mi chiedo: quando parliamo degli altri riusciamo a essere sereni? Mi pare di no. Sono costoro che ho nominato delle persone rispettabili? Lo è stato Rosario Bentivegna, che per il suo atto ha ricevuto una medaglia?
Sfogliando vecchie riviste di storia ho trovato un articolo che riguarda Giuseppe Mazzini. Si intitola Mazzini terrorista. C’è pure la raffigurazione di Felice Orsini che prepara una delle bombe che nel 1859 Francesco Crispi fece fabbricare in serie in Sicilia. Ora mi chiedo: quando parliamo degli altri riusciamo a essere sereni? Mi pare di no. Sono costoro che ho nominato delle persone rispettabili? Lo è stato Rosario Bentivegna, che per il suo atto ha ricevuto una medaglia? Lo è stato Mario Fiorentini che gli ha preparato la bomba che fu piazzata dentro un bidone dell’immondezza a via Rasella? O soltanto colui che ha fatto esplodere delle bombole di gas a Brindisi è colpevole e merita la nostra riprovazione? E chi non loda Giuseppe Mazzini è un cattivo patriota e chi non esalta Rosario Bentivegna è per forza un bieco fascista?
Abelardo Ignoti
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Caro Ignoti,
La sua lettera è stata scritta quando molti sospettavano che l’attentatore di Brindisi avesse motivazioni politiche. Oggi sappiamo che il suo gesto interessa la psichiatria molto più di quanto non concerna la storia del terrorismo. Ma la sua lettera ha il merito di constatare implicitamente che il giudizio sul terrorismo dipende spesso dalla distanza temporale che ci separa dall’avvenimento. Quello dei nostri giorni è sempre, per la grande maggioranza dell’opinione pubblica occidentale, esecrabile e orrendo. Quello del passato viene spesso spiegato, giustificato e addirittura nobilitato. Crispi non partecipò probabilmente ad azioni terroristiche, ma costeggiò per qualche tempo l’ala violenta del Risorgimento e durante un soggiorno a Parigi, dal 1856 al 1858, ebbe da Mazzini l’incarico di andare alla ricerca di un operaio che voleva fare saltare in aria la cattedrale di Notre Dame durante il battesimo del principe imperiale. Se qualcuno accennava ai suoi trascorsi di cospiratore e lo incitava a evocare qualche episodio, Crispi s’imbronciava, tagliava corto e diceva seccamente che quelle cospirazioni avevano fatto l’Italia. Voleva dire che erano memorie sacre e che non era opportuno contaminarle con aneddoti e indiscrezioni. Da allora l’atteggiamento verso il terrorismo del passato è divenuto ancora più comprensivo e assolutorio. Molto dipende, naturalmente, dalla ideologia dominante. Una larga parte della opinione pubblica occidentale comprende e perdona il terrorismo dei movimenti di liberazione. I Paesi nati dalla lotta contro una potenza coloniale dedicano strade e innalzano monumenti a personaggi che si erano distinti per la loro brutale spregiudicatezza. Anche il governo israeliano, qualche anno fa, ha nobilitato con un convegno l’attentato dell’organizzazione Irgun Zwai Leumi, il 22 luglio 1946, contro l’hotel King David di Gerusalemme, sede del comando britannico, in cui 92 persone perdettero la vita. Con l’occasione fu predisposta una targa in cui si leggeva che l’Irgun aveva preannunciato l’attentato con alcune telefonate, 25 minuti prima dell’esplosione, e aveva invitato il comando britannico a evacuare il King David. Ma l’albergo, «per ragioni note soltanto ai britannici, non era stato evacuato». L’ambasciatore di Gran Bretagna protestò contro una iscrizione che «glorificava un atto di terrorismo» e la targa fu parzialmente corretta. In quella definitiva, posta all’esterno dell’albergo, fu scritto altresì che l’Irgun aveva espresso il suo rammarico per il numero delle vittime. Sembra di comprendere che vi sono circostanze in cui il terrorismo può essere considerato un legittimo atto di guerra quando cerca di evitare vittime innocenti.
In questa distinzione vi è probabilmente molta ipocrisia. Nella strategia dell’attentatore ciò che maggiormente conta è incutere terrore, dimostrare potenza e audacia, provare al cittadino inerme che il potere non è più in grado di garantire la sua personale sicurezza. La sconfitta farà di lui un bandito; la vittoria, se riuscirà a coglierla, un eroe.
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