Caos totale nella Linke, Gysi evoca la scissione

Doveva essere il congresso del rilancio, dopo i pessimi risultati delle ultime elezioni regionali (costati la fuoriuscita dai parlamenti dello Schleswig-Holstein e del Nord Reno-Westfalia), e invece è stato il congresso delle spaccature. Doveva esserci il clamoroso comeback di Oskar Lafontaine, l’unico leader di spessore in grado forse di riportare in auge il partito della Linke, ma Oskar il rosso, ormai ristabilitosi dopo la lunga malattia, alla fine ha rinunciato a candidarsi alla presidenza. Pretendeva di esercitare una leadership assoluta senza avere accanto dirigenti non di sua fiducia; una richiesta che molti nel partito hanno rigettato come «arrogante».

Doveva essere il congresso del rilancio, dopo i pessimi risultati delle ultime elezioni regionali (costati la fuoriuscita dai parlamenti dello Schleswig-Holstein e del Nord Reno-Westfalia), e invece è stato il congresso delle spaccature. Doveva esserci il clamoroso comeback di Oskar Lafontaine, l’unico leader di spessore in grado forse di riportare in auge il partito della Linke, ma Oskar il rosso, ormai ristabilitosi dopo la lunga malattia, alla fine ha rinunciato a candidarsi alla presidenza. Pretendeva di esercitare una leadership assoluta senza avere accanto dirigenti non di sua fiducia; una richiesta che molti nel partito hanno rigettato come «arrogante».
Le parole d’ordine del congresso della Linke, svoltosi lo scorso weekend a Göttingen, sono state solidarietà, democrazia, giustizia e pace, scritte a caratteri cubitali su sfondo rosso dietro la tribuna degli oratori. Ma l’atmosfera è stata tutta all’insegna dei conflitti intestini. Gregor Gysi, l’altro leader carismatico, in un intervento assai accorato e applaudito, è arrivato al punto di evocare il rischio di una scissione. «Non se ne può più di questo clima d’odio reciproco. Piuttosto che trascinare un matrimonio completamente fallito, ricorrendo a inganni meschini, calci negli stinchi e accuse diffamatorie, è meglio una separazione senza rancori» ha detto senza ipocrisie colui che ha guidato i comunisti della ex Rdt negli anni post unificazione fino al 2007, quando la Pds si fuse con il movimento dei fuoriusciti dell’Spd guidati da Lafontaine dando vita al partito della Linke.
Sono passati appena cinque anni dalla fondazione. L’apice del successo è stato nel 2009 con l’ingresso trionfale in molti parlamenti regionali dell’ovest e l’incredibile percentuale dell’11,9% conquistata alle politiche. Da allora in poi un susseguirsi di polemiche e di diatribe storico-ideologiche (sul significato del comunismo o sull’eredità della Rdt) ha logorato li vertici e stancato la base. A ciò va aggiunta la ripresa dell’Spd, che una volta passata all’opposizione è riuscita a riconquistare voti a sinistra, e la concorrenza di Verdi e Pirati. Ma la debolezza attuale della Linke (data al 7% a livello nazionale) è dovuta all’endemica divisione tra la fazione «orientale», gli eredi della Pds e della Ddr, e quella «occidentale», ovvero i dissidenti della socialdemocrazia dell’epoca Schröder. La verità è che la fusione tra le due anime non si è mai veramente compiuta. Gli orientali sono pragmatici e «governativi», disposti ad accettare compromessi per allearsi con le altre forze di sinistra; gli «occidentali» sono massimalisti, nutrono un’ostilità irriducibile verso i «traditori» dell’Spd e non ne vogliono sapere di partecipare ad alleanze di governo.
Le spaccature interne hanno finito con l’offuscare il risultato più importante del congresso, ovvero il cambio della guardia al vertice del partito. Il duo formato da Klaus Ernst e Gesine Lötsch è stato sostituito dopo due anni di guida turbolenta e contestata da un’altra coppia, come da statuto, formata anche stavolta da un uomo (dell’ovest) e una donna (dell’est). I nuovi presidenti della Linke sono dunque Katja Kipping e Bern Riexinger. La prima è una 34enne della Sassonia, il secondo un sindacalista di Stoccarda, fedelissimo di Lafontaine. Sulle loro spalle grava ora la responsabilità di dare al partito una prospettiva strategica così da tenerlo unito almeno fino alle politiche del 2013

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