C’è la firma di uno dei condannati. Minacce alla madre
C’è la firma di uno dei condannati. Minacce alla madre
FERRARA — Insultano suo figlio, Federico Aldrovandi, morto a 18 anni nel settembre del 2005 sotto i colpi di 4 poliziotti, «schegge impazzite che hanno agito in una sorta di delirio» li ha definiti l’altro giorno il procuratore generale Gabriele Mazzotta prima che la Cassazione rendesse definitiva per tutti la condanna a 3 anni e 6 mesi (niente carcere grazie all’indulto) per omicidio colposo causato da eccesso dei mezzi di contenimento. «Cucciolo di maiale» lo infanga su Facebook un anonimo che si nasconde dietro a una foto con il cappello da alpino. E poi minacciano lei, la madre di Federico, Patrizia Moretti, che per 7 anni ha rotto i vetri dell’omertà e dei silenzi complici, riuscendo alla fine ad ottenere una condanna che certo non le restituisce il figlio, ma cristallizza le responsabilità e rende giustizia a una morte inaccettabile.
Non è un anonimo, stavolta, a scrivere oscenità: è addirittura uno dei 4 poliziotti condannati, Paolo Forlani (gli altri sono Enzo Pontani, Monica Segatto, Luca Pollastri), a vomitare insulti e bile contro una madre che ha perso un figlio: e non per una sfortunata disgrazia, come hanno accertato tre pronunciamenti della giustizia. Scrive Forlani riferendosi a Patrizia Moretti: «Che faccia da c… aveva sul tg, una falsa e ipocrita, spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (la famiglia Aldrovandi è stata risarcita con 2 milioni di euro dal ministero degli Interni, ndr) possa non goderseli come vorrebbe: adesso non sto più zitto, dico quello che penso e scarico la rabbia per sette anni di ingiustizie».
Non è una pagina qualsiasi quella dove compaiono queste oscenità. Si chiama «Prima difesa» ed è gestita da un gruppo, al quale partecipano numerosi rappresentanti delle forze dell’ordine, la cui ragione sociale è quella di «offrire una tutela gratuita» ad esponenti delle forze dell’ordine che si trovano in situazioni difficili. E certo non è semplice la posizione dei 4 poliziotti sotto i cui colpi morì Aldrovandi. Condannati in via definitiva, anche se eviteranno il carcere, difficilmente potranno sfuggire a severe sanzioni disciplinari, quelle stesse che la madre del ragazzo morto ha invocato subito dopo la sentenza: «Mi chiedo — ha detto — se quelle persone resteranno o no nella polizia». E’ da qui che due giorni fa è partito il dibattito (chiamiamolo così) su Facebook. Ad aprire le danze è stato uno dei gestori del gruppo: «Avete sentito la mamma di Aldrovandi? Fermate questo scempio, vuole che i 4 poliziotti vadano in carcere, io sono una bestiaaa… ». Da lì, la giostra degli insulti, con Forlani primattore: «Sfido chiunque a trovare nei verbali che Federico è morto per le lesioni subite: paghiamo le colpe di una famiglia che, pur sapendo i problemi del figlio, non lo ha aiutato… ».
Patrizia Moretti ha fatto l’unica cosa che poteva fare: ieri si è presentata dai carabinieri di Ferrara e ha sporto denuncia per diffamazione, e qualunque reato sia ravvisabile, contro il gruppo che gestisce la pagina su Facebook. La Procura ha già aperto un fascicolo. «E’ la prima volta che presento una querela in questi 7 anni — ha detto la donna —. E’ inaccettabile che, dopo la sentenza della Cassazione, certa gente si permetta di offenderci, continuando a raccontare menzogne: adesso basta!».
Nichi Vendola e il senatore dell’Idv, Stefano Pedica, sono al suo fianco. Prima ancora che le condanne diventassero definitive, il capo della polizia, Antonio Manganelli, aveva voluto incontrare privatamente la famiglia Aldrovandi per portare le sue scuse.
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