Croisette / UN ITINERARIO TRA FILM SUL SENSO DELLA VITA
Croisette / UN ITINERARIO TRA FILM SUL SENSO DELLA VITA CANNES. Ci sono film rari che parlano a una comunità. Una comunità che, in quanto tale, sanno smarrita e segreta – qualcuno non c’è più, qualcun altro ha scelto il silenzio – e per questo sono film inconfessabili inattuali non conformi (non si dà comunità se non si è pronti a mutar se stessi in favore dell’estraneo). Al cinema questo significa lavorare a stretto contatto con la memoria erosa dell’immagine, colmare vuoti e lacune di una lingua misteriosa che pure riallaccia subito nuovi fili invisibili. Per questo la comunità (inoperosa, come vuole Nancy) ha in serbo dei grandi riannodatori, i quali sono in grado di costeggiare in vita la morte rimpallandola allo schermo (Resnais, Vous n’avez encore rien vu ) oppure direttamente allo spettatore (Cronenberg, Cosmopolis ), capaci di andare anche sottoterra pur di rivoluzionarla la vita (Bertolucci, magnifico, con Io e te ), di affrontare la grazia perduta con la stessa rabbia e estasi di chi quotidianamente la sfinisce (Carax, Holy Motors ), o ancora sognare mostruose mirabilie e sconnessioni che del mondo segnalino i distacchi e le imperfezioni (Argento con Dracula ). Probabilmente sarà fatale venire defraudati del fatto stesso d’aver dato immagini, ma c’è da chiedersi se sia questa l’inconfessabilità necessaria a una semina benefica, diffusa in zone misteriose e di difficile reperimento, di tutta una serie di opere che, pur marginalmente, ne colgono l’insegnamento celato. Che ne sarà del giovanissimo egiziano Namir Abdel Messeh che con La vierge, le coptes et moi (visto nella poco praticata sezione Acid e già in concorso a Nyon) si cala nell’Egitto profondo, per esempio soltanto alluso dal Nasrallah di Baad el mawkeaa , organizzando una paradossale messa in scena (l’apparizione della vergine) con cui costringe un’intera popolazione a mettersi in gioco in quanto sguardo cieco e desiderante? E come si deve catalogare il difetto di flagranza in J’enrage de son absence (Semaine) di Sandrine Bonnaire a fronte dell’intuito e passione con cui l’attrice-regista permette a William Hurt di rilanciare all’estremo l’ombra cupa che lo avvolgeva in Turista per caso di Kasdan? Così forse non basterà a Alejandro Fadel ( Los salvajes , ancora Semaine) l’aver pensato al cinema di Lisandro Alonso, sfuggendogliene tuttavia la ricerca di un disorientamento interno che sempre proviene da tanta potenza, restando invece aggrappato alla sceneggiatura proprio dove i corpi dei giovani attori cercano disperatamente di incendiarsi (cosa che, sullo stesso piano, riesce al Gondry di The We and the I ). E forse è solo il frutto di una magnifica ossessione il lavoro fatto da Rodney Ascher in Room 237 (Quinzaine), che dà voce a cinque otaku kubrickiani in visibilio quando scoprono che c’è un metodo nelle decine di incongruenze di Shining , il film che li tiene prigionieri, e che a sovrapporne due copie mandandole una dall’inizio e l’altra dalla fine, ebbene le correspondances si fanno colossali e labirintiche. È probabile che all’algerino Merzak Allouache di El taaib (Quinzaine) non sarà sufficiente l’estrazione di fulminei scorci metropolitani se non deciderà di farli deflagrare al punto da rendere più opaca la troppa linearità dell’intento politico, così come a Alice Winocour ( Augustine , uno dei film più interessanti visti alla Semaine de la critique) non renderà giustizia l’intensità che la guida nell’esplorazione del corpo isterico mutante della giovane donna in cura dal professor Charcot. E troverà una forma ancora selvaggia ma più saggia e capillare il trio di Un Certain Regard, Xavier Dolan ( Laurence Anyways ), Benh Zeitlin ( Beasts of the Southern Wild ) e Brandon Cronenberg ( Antiviral ) dopo essersi inoculato il virus di un cinema di tanto abnorme e insieme liquefatta energia? Una risposta potrebbe darla lo stupefacente Sueño y Silencio di Jaime Rosales, bianco e nero struggente che ribalta su se stesso il tema della perdita di cui racconta, avanzando per suture tragiche, derive, bruciature, piani en plein air tanto misteriosi quanto di rara bellezza, col mondo che fila fuori campo lasciandoci in un vuoto giusto e difficile. Ma le risposte, per fortuna, sono poche. E si sa, le prime a essere inoperose sono le immagini.
Foto: CHARCOT Il film della regista Alice Winocour, «Augustine», è una esplorazione del corpo isterico e mutante di una giovane donna in cura presso il celebre medico. È una delle più interessanti pellicole viste alla Semaine de la Critique, per intensità e intento politico
0 comments