La morte di Alina rivela una gestione gravissima e omertosa della Questura. A casa del capo un altare al Duce, il Mein Kampf e tutti i testi antisemiti
LA SQUADRETTA Targa nazi sulla porta: Ufficio epurazioni. Sequestri e violenze su 50 immigrati Il misterioso suicidio di una donna ucraina in un commissariato svela un nucleo di poliziotti neofascisti. A guidarli il vicequestore Baffi, accusato di omicidio. Ed è ancora lì Il fermacarte di Mussolini. Dietro la scrivania una targa con su scritto «Ufficio epurazione», sberleffo della dizione ufficiale dell’ufficio che dirige, quello dell’«immigrazione» a Trieste. E a casa un vero «arsenale» di testi antisemiti, tra cui spicca il classico «Mein Kampf» ma anche il libro per veri “intenditori”: «Come riconoscere un ebreo».
La morte di Alina rivela una gestione gravissima e omertosa della Questura. A casa del capo un altare al Duce, il Mein Kampf e tutti i testi antisemiti
LA SQUADRETTA Targa nazi sulla porta: Ufficio epurazioni. Sequestri e violenze su 50 immigrati Il misterioso suicidio di una donna ucraina in un commissariato svela un nucleo di poliziotti neofascisti. A guidarli il vicequestore Baffi, accusato di omicidio. Ed è ancora lì Il fermacarte di Mussolini. Dietro la scrivania una targa con su scritto «Ufficio epurazione», sberleffo della dizione ufficiale dell’ufficio che dirige, quello dell’«immigrazione» a Trieste. E a casa un vero «arsenale» di testi antisemiti, tra cui spicca il classico «Mein Kampf» ma anche il libro per veri “intenditori”: «Come riconoscere un ebreo».
Carlo Baffi, dirigente della questura triestina, è ora indagato per sequestro di persona e omicidio colposo. A scoperchiare il pentolone su come funzionasse il commissariato di villa Opicina il suicidio di una giovane ragazza ucraina avvenuto proprio nelle stanze della polizia. Dalle indagini sulla vicenda, condotte dal pm Massimo De Bortoli, stanno emergendo filoni più ampi.
La Procura è interessata soprattutto a capire quale fosse la prassi seguita dalla questura nei confronti dei migranti privi di permesso di soggiorno, ma privi anche di un decreto prefettizio che ne stabilisse la reclusione in un Centro di espulsione. Sta emergendo infatti che l’ufficio di Baffi ritenesse la legge insufficiente, e si organizzasse di conseguenza, rinchiudendo in questura gli immigrati in attesa della decisione del prefetto. Si chiama sequestro di persona, che è infatti uno dei reati contestati dal pm al vicequestore che dovrà rispondere davanti a un giudice anche della morte di Alina. Il procuratore capo, Michele Dalla Costa, parlando con Il Piccolo di Trieste ha lasciato intendere che presto potrebbero esserci altri indagati. Di fronte a un fatto così grave la reazione dell’Associazione nazionale funzionari di polizia è quasi divertente: «A casa di Baffi sono stati trovati anche testi di Marx e sulla storia del movimento operaio», è normale, scrive l’Anfp «che un poliziotto che ha lavorato alla Digos legga testi che vanno dall’estrema destra all’estrema sinistra”. Insomma, Baffi sarebbe un intellettuale.
Ieri in città, a piazza della Borsa, si sono radunate duecento persone in un sit in promosso dalle forze democratiche della città – Arci Occupy Trieste, centri sociali, studenti, a cui hanno aderito Rifondazione e Sel. Hanno chiesto l’immediata sospensione di Baffi ma anche le dimissioni del questore «che non poteva essere all’oscuro né delle simpatie fasciste di Baffi, né di come operava quell’ufficio», dice Luca Tornatore dei centro sociali del nord est.
La Procura ha sequestrato i fascicoli relativi a 49 immigrati detenuti da agosto ad aprile nel commissariato di villa Opicina per capire se avrebbero dovuto stare lì o no. Un posto non molto bello in cui passare le giornate, visto che la storia di Alina denuncia un totale abbandono delle persone recluse.
La ragazza, che si è stretta un cappio intorno al collo formato con il cordoncino della sua felpa la mattina del 16 aprile, e si è impiccata alla finestra della stanza a un metro e mezzo da terra, avrebbe avuto 40 minuti di agonia. Su di lei era puntata una telecamera di sorveglianza. Ma pare che in quella stanza i poliziotti siano entrati solo per comunicarle che era arrivato il fax del prefetto: destinazione Cie di Bologna.
Sicuramente non il posto in cui si aspettava di andare, dopo dieci mesi di carcere. La storia di Alina la racconta il suo avvocato, Sergio Mameli, che ora rappresenta la mamma e la sorella e ha depositato una memoria difensiva sulla vicenda: «Alina era implicata in un processo molto complesso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il suo era un ruolo marginale – dice Mameli – sul suo conto erano passati alcuni soldi. Io mi sono fatto l’idea che lei non ne sapesse nulla: era la fidanzata di uno degli indagati, ha fatto un favore. Dunque non si spiegava perché dovesse stare in carcere. Negli ultimi tempi era nervosa, voleva uscire, aveva già tentato il suicidio e aveva delle evidentissime suture sul braccio sinistro. Per questo abbiamo deciso di patteggiare». E’ il 13 aprile. Il giorno dopo, sabato, Mameli la va a trovare in carcere: «Oggi ti liberano», le dice. Lei è contenta. Sa che verrà espulsa, ma pensa di avere almeno un week end per sé, fino a lunedì. Invece no: a prelevarla arriva una volante inviata da Baffi. Non fosse mai che una clandestina giri in città. La mattina del 16 Alina chiama alle 10 allo studio dell’avvocato, che non c’è. Lui richiama alle 11,30: Alina è già morta.
Il consigliere regionale di Rifondazione Roberto Antonaz aveva già presentato un’interrogazione sulla morte e ora dice. «Sono allibito. Non è possibile che nessuno dei dirigenti della questura sapesse».
0 comments