Tatuaggi criminali

Lombroso e i corpi del reato  Guardie e ladri. Lame, serpenti, cuori, teste di diavoli. Incisi addosso a “camorristi e sovversivi” per il teorico dell'”atavismo” ne svelavano i delitti. Testimonianze uniche sul mondo della devianza ottocentesca, ora i più preziosi tra questi “studi” sono stati restaurati dal museo torinese che porta il suo nome

Lombroso e i corpi del reato  Guardie e ladri. Lame, serpenti, cuori, teste di diavoli. Incisi addosso a “camorristi e sovversivi” per il teorico dell'”atavismo” ne svelavano i delitti. Testimonianze uniche sul mondo della devianza ottocentesca, ora i più preziosi tra questi “studi” sono stati restaurati dal museo torinese che porta il suo nome

Torino. In principio fu il tatuaggio. Era il 1863. Cesare Lombroso non aveva ancora elaborato la teoria dell´atavismo criminale. Era un ufficiale medico. Esaminando un migliaio di soldati artiglieri, tuttavia, venne colpito dal fatto che 134 di loro, di ceti sociali disagiati, avevano sul corpo più immagini o scritte incise in modo indelebile. Ne fece tesoro. Qualche tempo dopo, nel 1876, l´anno della pubblicazione de L´uomo delinquente, poteva scrivere che l´uso del tatuaggio «fra gli uomini non delinquenti» tende «a decrescere», mentre invece «l´usanza permane non solo, ma prende proporzioni vastissime nella popolazione criminale, sia militare, sia civile». Nel libro Il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”, curato per la Utet da Silvano Montaldo e da Paolo Tappero, Pierpaolo Leschiutta ricorda che per la quinta edizione de L´uomo delinquente, uscita nel 1896, il dottore veronese, trasferitosi a Torino, «aveva dati e informazioni su 10.234 individui tatuati, 6348 classificati come criminali, prostitute e soldati delinquenti». Il tatuaggio era diventato un potente indicatore di atavismo criminale. Aveva annotato nel 1874: «Nulla è più naturale che un´usanza tanto diffusa tra i selvaggi e fra i popoli preistorici torni a ripullulare in mezzo a quelle classi umane che, come i bassi fondi marini, mantengono la stessa temperatura, ripetono le usanze, le superstizioni». Non si conosce il numero dei tatuaggi di uomini e donne «delinquenti», di assassini e di banditi, di ladre e meretrici, di vagabondi e di oziosi, di camorristi e sovversivi, che vennero ricopiati e riprodotti dal vero su carta e su tela, su richiesta del fondatore dell´antropologia criminale, in diversi manicomi, nelle carceri e negli ospedali del Regno d´Italia. Sicuramente si tratta di una quantità enorme. Nei magazzini del torinese Palazzo degli Istituti Anatomici, dove ora è ospitato il Museo Lombroso diretto da Silvano Montaldo, in questi ultimi anni ne sono stati ritrovati centinaia, senza contare quelli che sono andati perduti. Sei di questi, i più grandi e significativi, sono stati affidati agli specialisti del laboratorio di restauro dell´Archivio di Stato di Torino che li hanno restituiti ai colori originali. Rappresentano una testimonianza rilevante del pensiero lombrosiano e degli strumenti della ricerca scientifica positivista, ma anche un racconto di notevole forza dell´universo ottocentesco della miseria, del crimine, della devianza, della follia, talvolta del genio. Spiega Montaldo: «La nostra è una raccolta unica al mondo nel suo genere. Anche Alexandre Lacassagne, uno dei padri della scienza criminologica in Francia, ne aveva raccolti numerosi a Lione; non si sa, però, che fine abbiano fatto».
Nell´Ottocento, scrive Leschiutta, il tatuaggio «turba, incuriosisce, infastidisce, pone problemi sulla liceità di un uso del corpo irrispettoso della sua sacralità», sebbene fosse diffuso, soprattutto in Inghilterra, tra gli esponenti dell´aristocrazia. Oggi farsi tatuare è una moda di massa, e il tatuaggio ha perso una buona parte della sua valenza. Uscito dalla storia delle classi subalterne, è entrato nell´era dell´omologazione. Un serpente marchiato su un braccio non svela ciò che poteva rivelare, oltre un secolo fa, quello che attraversa il corpo di «Materia», un piemontese «condannato ripetutamente per furto, rapina, associazione a delinquere». È uno dei disegni rimessi a nuovo dall´Archivio di Stato. Nelle note di Lombroso e dei suoi collaboratori, quasi sempre basate sulla scorta delle spiegazioni fornite dai medesimi tatuati, il serpente «significa che egli è legato dalla Questura dai cui lacci non può sciogliersi. Le spade significano il diuturno duello contro la Questura».
Vere e tragiche storie personali, spesso abominevoli oppure miserabili, con i loro fondi di memorie e di sogni spezzati, di odi e di amori, con gli afflati religiosi, i desideri erotici e di vendetta, a volte innestati tra vagheggiamenti sociali e di rivolta, un «W la Republica» e un «W la Pace», coprivano i corpi studiati da Lombroso. Lui ne traeva linfa preziosa per dimostrare il rapporto dei delinquenti e dei devianti, proprio per via del tatuarsi, con l´uomo primitivo e con quello «in stato di selvatichezza». Le altre letture possibili, alternative alla mera connotazione criminale, non vennero prese in considerazione. Con i metodi e lo stato della scienza connaturati all´epoca, Lombroso colse, come dice Leschiutta, «la potenzialità evocativa» dei tatuaggi; quell´essere, per citare Danilo Montaldi, delle autentiche Autobiografie della leggera (o lìgera, la piccola criminalità milanese della prima metà del Novecento, ndr). Nell´iconografia tutta pelle e aghi lo scienziato individuò le tipologie del tatuaggio religioso e per imitazione, per spirito di vendetta e per ozio, per vanità, per spirito di corpo, in funzione mnemotecnica ed erotica. Molte delle sue idee e delle sue scoperte sono cadute nell´oblio. Rimane intatta la capacità di raccontare gli uomini e le donne decifrandone i segni sui corpi.

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