Se si ribella la terra gentile

    Le generazioni precedenti hanno lottato per rendere questi luoghi docili e sottomessi, con campi e strade dritte. Adesso dobbiamo tenerla d’occhio la terra: quello che è successo deve insegnarci ad amarla e a rispettarla sempre di più

    Le generazioni precedenti hanno lottato per rendere questi luoghi docili e sottomessi, con campi e strade dritte. Adesso dobbiamo tenerla d’occhio la terra: quello che è successo deve insegnarci ad amarla e a rispettarla sempre di più

È VERO, dalle nostre parti non ci siamo abituati a certe immagini. Non ci siamo abituati, in Emilia Romagna, ad avere paura di una natura che da tanto tempo consideriamo così gentile e sottomessa – più sottomessa che gentile – da non creare mai nessun tipo di problema, anzi.

Strade dritte, campi squadrati come col righello degli antichi romani in un alternarsi di vigneti, centri commerciali, pesche nettarine, torri dirigenziali, centri storici, capannoni, kiwi, porcilaie e villette a schiera ecocompatibili. E se c´è qualcosa di ancora selvatico è parco naturale o presidio Slow Food.
Non ci siamo abituati, qui da noi, a vedere le guglie dei nostri campanili sbeccate come da un morso, cumuli di mattoni impolverati nelle piazze, vecchi palazzi a metà come tornati indietro col rewind e capannoni stesi proni sui corpi di chi c´è rimasto sotto.
Ma soprattutto non siamo abituati a stare fuori casa, a guardarci in faccia spaventati, preoccupati che quella natura Doc e Dop ci scrolli di dosso all´improvviso come abbiamo visto fare da altre parti che consideriamo meno sottomesse e gentili delle nostre.
Non siamo abituati, qui, ad avere paura della terra.
O meglio, non ci siamo abituati noi – o non lo siamo più – perché le generazioni precedenti con quella natura, con i capricci dei fiumi, per esempio, ci hanno lottato parecchio per renderla così sottomessa da non spaventare più nessuno e a non produrre più leggende horror, come quella della Borda, il fantasma della nebbia.
E nonostante recentemente il lungo periodo di piccole ma decise scosse che ogni notte ha mandato la gente di Faenza a dormire in macchina ci abbia ricordato che l´Italia è zona sismica, l´Italia tutta, e che anche in Emilia Romagna si possa avere paura della terra.
Ora, io sono uno che con la paura ci convive per scelta – e per fortuna – nel senso che ho fatto del crearla e dell´indurla agli altri il mio mestiere. Non ne ho mai provata molta – ripeto: per fortuna – e quella dei terremoti non è mai stata in cima alla lista, anche se so quanto possa essere terrorizzante e capisco quanto possa essere spaventata la gente delle mie parti in attesa che l´allarme cessi.
Ma rispetto la paura degli altri e la paura in generale, che ho sempre considerato come qualcosa di positivo. Come una forma di conoscenza: il buio che intravediamo nello spiraglio di una porta socchiusa prima o poi ci poterà ad aprirla. E come uno spunto di riflessione: perché non l´ho aperta prima, quella porta, e cosa faccio adesso che l´ho spalancata?
Ecco, un terremoto è un evento imprevedibile, come un fulmine dal cielo, ma viene da pensare che i danni siano stati quelli che sono stati e soltanto quelli perché in effetti le nostre zone sono più fortunate e organizzate di altre, dove invece i danni sono stati maggiori. E questo è bene, ma non dobbiamo fermarci qui.
Dobbiamo tenerla d´occhio, questa terra, attenti che non sia cementificata, depotenziata, scavata e riempita contro le regole e contro la logica, insomma, contro la natura. Come è negli interessi di alcuni – per esempio la criminalità organizzata che anche qui ha messo radici – ma non di tutti gli altri.
Insomma, bisogna che questa paura ci insegni ad amarla di più, questa terra, a pensarla, capirla e rispettarla.
Altrimenti lei si arrabbia e come sta facendo in tante parti del mondo, si muove e ci scrolla di dosso.
Anche qui da noi, in Emilia Romagna.

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