Rispunta lo slogan anni 70 «Né la Fai, né lo Stato»

I gruppi divisi sulla Rete dopo l’attentato

I gruppi divisi sulla Rete dopo l’attentato ROMA — C’è il commento di Ginetta, di tre sole righe: «Una cosa è giusta: il sig. Adinolfi non si sarebbe mai interrogato in tutta la sua vita sui morti e le leucemie che provoca la sua gaia scienza». Come dire che un proiettile in una gamba ha forse prodotto questo risultato, per il resto analisi e prospettive degli attentatori non sono granché. Poi però ci sono otto durissime pagine di presa di distanza ad animare il dibattito via Internet sul colpo di pistola che a Genova ha ferito Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo nucleare. E a ricordare, fatte le debite proporzioni e distinzioni, le dispute degli anni Settanta sulla lotta armata all’interno della cosiddetta «sinistra rivoluzionaria».

Scrive un gruppetto composto da «qualche anarchico e alcuni libertari» genovesi: «La violenza rivoluzionaria può essere una “tragica necessità”, e certamente non siamo qui a piangere per la gamba di un uomo che, lavorando attivamente nella diffusione del nucleare, ha gravi responsabilità nella distruzione del pianeta e nell’assassinio di tantissime persone. Tuttavia, dalla consapevolezza di una tragica necessità all’esaltazione del piacere per l’arma, passa la differenza tra quella che storicamente è stata e che noi chiamiamo giustizia sociale e quella che, nell’attuale situazione storica, per la rivendicazione che si è data, si è mostrata come pura espressione di rancore settario».
Come trentacinque anni fa la critica non è sul metodo, ma nel merito. Trenta o trentacinque anni fa c’era chi prendeva le distanze dalle Brigate rosse non perché fosse sbagliato sparare, o certi «obiettivi» non meritassero di essere colpiti, bensì perché le loro azioni erano «fughe in avanti» avventuristiche e controproducenti; oggi, persone che forse a quel tempo non erano ancora nate discutono su un agguato politico con parametri simili o paragonabili. La polemica con gli sparatori di Adinolfi è netta. Vengono tacciati di «celodurismo» (termine che negli anni Settanta non era in voga), e accusati di aver conseguito un risultato confuso e contraddittorio. Come la manifestazione contro il terrorismo convocata per domani a Genova: «La canea mediatica, le istituzioni e gli immancabili sindacati sono riusciti a mettere insieme ciò che per natura è contrapposto: le azioni contro Equitalia e la gambizzazione di un amministratore delegato, l’insorgere (ognuno a suo modo) contro i soprusi e l’avanguardia (mal) armata. Peggio: gli sfruttati e gli sfruttatori».
Loro invece, gli anarchici e i libertari, pensano che «né la gambizzazione, né le molotov, né gli assalti “di massa” ad Equitalia, siano pratiche terroristiche. Terrorismo è il seminare violenza e panico alla cieca al fine di preservare o conquistare il potere. E questo appartiene allo Stato ed ai “fascisti (nazionalisti e/o religiosi) di varie bandiere”». Tuttavia, «riteniamo la gambizzazione un atto intimidatorio e crudele che eticamente non ci appartiene, mentre riteniamo i vari attacchi ad Equitalia, compiuti dagli sfruttati in questi giorni, una battaglia molto più che condivisibile, fondamentale».
Il documento è lungo e articolato, ma l’accusa che più colpisce rivolta alla «nucleo Olga» della Federazione anarchica informale che ha rivendicato il ferimento di Adinolfi è quella di favorire gli schemi della repressione: «L’equazione pistola=radicalità non sta in piedi da nessun punto di vista, è soltanto una visione auto celebrativa utile a confermare le tesi della polizia».
Di tutt’altro tenore il documento di nove detenuti greci appartenenti alle Cellule di fuoco elleniche che si dichiarano «onorati» dal fatto che i «fratelli e le sorelle» genovesi si siano firmati col nome di una di loro. «È un momento meraviglioso», scrivono insieme a un decimo «compagno anarchico» anch’esso rinchiuso in prigione. Si chiama Theofilos Mavropoulos, e il «branco di individualisti anarchici» animatore di un sito Internet dedicato alle iniziative di «chi ha dichiarato guerra a questa società in diverse parti del mondo» si rammarica che lui e uno dei nove detenuti delle Cellule greche non siano stati citati nella rivendicazione dell’attentato di Genova. Per il resto, scrivono, nonostante l’allergia per qualsiasi federazione o organizzazione, dichiarano «piena solidarietà e complicità con tutti coloro che passano all’azione diretta anarchica». Qualunque cosa facciano, par di capire.
Giovanni Bianconi

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