Quella chiamata alle armi del 15 ottobre a centri sociali, black-bloc e No-Tav

In un volantino diffuso durante gli scontri di Roma la richiesta della Fai di compiere il salto di qualità  verso la violenza.  “Cresce la rabbia. Ma, purtroppo, ancora non sa farsi azione radicale”

In un volantino diffuso durante gli scontri di Roma la richiesta della Fai di compiere il salto di qualità  verso la violenza.  “Cresce la rabbia. Ma, purtroppo, ancora non sa farsi azione radicale”

ROMA – Per chi è la chiamata alle armi della “Federazione anarchica informale”? Quali militanti chiusi nei loro “orticelli del dissenso democratico” si sfidano ad “oltrepassare i limiti del razionale e del possibile”? Mai, negli ultimi 10 anni, una scommessa “politica e militare” è stata così alla luce del sole come quella aperta dall´agguato di Genova. E se è vero che le quattro cartelle di rivendicazione del “Nucleo Olga ” non sono, non possono, né pretendono di essere un´opa sul dissenso visibile e radicale espresso in questo ultimo anno dalle diverse anime del Movimento nelle piazze del Paese, è altrettanto vero che i destinatari della “conta” sono tutt´altro che un nulla indistinto di rabbia e risentimento sociale. Una qualificata fonte del Dipartimento di Pubblica sicurezza dice: «La Fai sfida innanzitutto i 400 incappucciati che il 15 ottobre dello scorso anno si sono presi la piazza a Roma. Che hanno spaccato il corteo degli “indignati”, riproponendo a una moltitudine pacifica la radicalità storica della scelta tra violenza e non-violenza. La Fai parla alla pancia di quei militanti anarco-insurrezionalisti che hanno già accettato e praticano la violenza di piazza. Che combattono da due anni nei boschi della Val di Susa sequestrando la protesta democratica dei valligiani. Che hanno devastato San Giovanni. Ma a cui manca l´ultimo cruciale tratto di strada: impugnare una pistola».
È un perimetro definito. Politicamente e geograficamente. Numericamente minoritario e anche per questo sempre più esasperato. «Ci sono i torinesi di Askatasuna, i padovani di Gramigna – prosegue la fonte del Dipartimento – E, con i genovesi, ci sono certamente anche i milanesi della “Bottiglieria”, di “Villa Litta”, “Conchetta”, i toscani dei circoli anarchici di Pisa e Livorno. I bolognesi di “Fuori Luogo” e “Crash”, i romani di Acrobax, e i salentini degli spazi anarchici di Lecce e Brindisi, con i loro forti legami greci. È innanzitutto a questi ragazzi, a questa cultura politica border-line, che parla la rivendicazione della Fai». Come del resto a quell´area dell´anarchia “tradizionale”, raccolta nella “Federazione Anarchica Italiana”, che la “Fai” individua come il “nemico interno” e di cui condivide solo l´acronimo. Quello – per dirla con il testo della rivendicazione – “disposto a rischiare solo fino ad un certo punto”. Liquidato come “anarchismo sociale”, “sempre pronto a trovare infinite giustificazioni ideologiche pur di non ammettere le proprie paure”. Epperò ingombrante, perché capace di occupare – come testimonia proprio un volantino della “Federazione anarchica italiana” distribuito il 15 ottobre a San Giovanni – uno stesso spazio politico, coltivando una medesima agenda. «Viviamo tempi grami. Tempi di guerra – si legge in quel documento – Ogni giorno, in ogni dove, qualcuno muore di lavoro, ucciso da un sistema che divora le vite e favorisce i profitti dei soliti pochi. Ogni giorno, in ogni dove, qualcuno muore in una delle tante guerre che insanguinano il pianeta, ucciso da un sistema che vive di massacri. Ogni giorno, in ogni dove, qualcuno muore mentre scavalca un muro, mentre brucia una frontiera, ucciso da un sistema che si fonda sulla schiavitù. Ogni giorno, in ogni dove, qualcuno muore perché ucciso da un sistema che sta distruggendo l´aria, l´acqua, la vita stessa. (…) Tanti, sempre più, sono stanchi, stanchi di pagare le guerre, le grandi opere inutili, i privilegi di pochissimi. Cresce l´indignazione, cresce la rabbia. Ma ancora, purtroppo, non sa farsi azione politica e sociale diffusa, radicata quanto radicale». Parole d´ordine che sei mesi fa lasciavano sospese le conseguenze. E a cui il “Nucleo Olga” ha deciso di dare un seguito. Con un qualche effetto. Se è vero che ieri, sul sito “Anarchaos”, la messa on-line delle quattro cartelle di rivendicazione dell´agguato ad Adinolfi, venivano chiosate con questo anodino quanto significativo distico: «Pubblichiamo a scopo puramente informativo. Lo facciamo per dovere verso la curiosità dei nostri lettori. Non ne condividiamo il contenuto, necessariamente. Non istighiamo all´emulazione, ma invitiamo allo studio e alla critica». Il messaggio, insomma, è arrivato. L´ascolto (“Studio” e “critica”) è cominciato.

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