L’autocoscienza dei movimenti

Alba, Cinque stelle, Se non ora quando. Fra pulsioni e legge, denuncia e rappresentanza, il tassello che manca per dare efficacia all’agire politico C’è un gran fermento nello spazio pubblico italiano poiché il momento è certamente complesso e colpisce duramente le vite singole e collettive. Reagire è necessario, ma forse, ora più che mai, occorre porsi e porre qualche domanda per non cadere nelle trappole di un passato che non vuole passare.

Alba, Cinque stelle, Se non ora quando. Fra pulsioni e legge, denuncia e rappresentanza, il tassello che manca per dare efficacia all’agire politico C’è un gran fermento nello spazio pubblico italiano poiché il momento è certamente complesso e colpisce duramente le vite singole e collettive. Reagire è necessario, ma forse, ora più che mai, occorre porsi e porre qualche domanda per non cadere nelle trappole di un passato che non vuole passare.
Così sembra, almeno, se si guarda all’exploit elettorale del “Movimento 5 stelle”. Sono troppe le analogie di fondo, nel linguaggio e nel merito, sia con la Lega che con il primo Forza Italia per lasciarsi conquistare dalle novità, che indubbiamente esistono, a livello locale o nell’organizzazione reticolare che tuttavia non sfugge alla dinamica della reductio ad unum. Il cinismo politico di chi raccoglie voti intercettando “pulsioni” contrastanti può pagare molto in questa fase di destrutturazione, anche perché si presenta come un insieme eterogeneo difficilmente criticabile, ma bisognerebbe tenere a mente quanto è stato detto, dal ’91 in poi, nei giudizi sulla Lega, per non cadere in errori già fatti.
Per questo, guardando a sinistra, non si può fare a meno di interrogare le mutazioni dei movimenti in soggetti politici incerti sulla soglia della rappresentanza locale e, forse, nazionale. Non ultima Alba, la nuova sigla che raccoglie sull’onda lunga della vittoria dei referendum del giugno 2011 quelli che non si sentono rappresentati dalle sigle formatesi a sinistra del Pd dopo il 2008.
Allo stesso modo occorre interrogare la campagna di Snoq (“Se non ora quando”) sul “femminicidio”. Campagna partita con grande risonanza mediatica, sull’onda dell’ennesimo omicidio femminile, utilizzando una parola usata per la strage delle giovani donne di Ciudad Juarez e rilanciata in Italia nel novembre del 2007 da una manifestazione femminista che non volle farsi strumentalizzare dalla “trasversalità”, alquanto posticcia, delle rappresentanti della politica istituzionale.
Questi fatti vanno considerati con attenzione poiché costituiscono, insieme al costante impegno del sindacato sulla crisi e sul lavoro, forme di agire collettivo che toccano con diverso segno e respiro punti nevralgici della vita italiana, dai quali ci si attende uno spostamento significativo rispetto alle vicende che hanno segnato gli ultimi anni della vita politica del nostro paese. Un decennio, al netto della breve parentesi del governo Prodi, contrassegnato dal monopolio berlusconiano sullo stato, sulla politica e sulla comunicazione, e durante il quale l’Italia non solo si è ridicolmente marginalizzata rispetto agli altri paesi europei, ma è anche scivolata in un bozzolo di conformismo e di inadeguatezza politica.
La crisi severa, forse esiziale, che sta attraversando l’Europa, e soprattutto l’Italia, può rappresentare un’occasione di cambiamento, ma per coglierla al meglio occorre mettere a fuoco il tema del senso e dell’efficacia dell’agire politico. La complessità e l’incertezza del momento economico, sociale e politico richiedono azione immediata, ma anche capacità di avviare una trasformazione di lungo respiro.
In questo senso mi augurerei che Alba si dedicasse di più a trasformare le idee del suo “Manifesto” in pratiche attive, che non immediatamente in rappresentanza.
Mettere in campo azioni mirate e condivise con altri attori potrebbe, ad esempio, creare la possibilità di dialogare con esperienze simili in altri paesi europei. Solo questo può favorire la crescita di un’Europa che si proponga di creare una alternativa vera al centro-sinistra continentale, costretto comunque, dal canto suo, a ripensarsi.
Su questo piano non si registrano finora episodi significativi capaci di parlare al senso comune di chi vive nei vari paesi in cui si sta abbattendo la scure dell’austerità economica. Eppure le idee per un movimento europeo si potrebbero trovare, magari affrontando in modo diverso l’intreccio tra lavoro e vita.
Ad esempio, nei dibattiti seguiti alla pubblicazione del fascicolo su “La cura del vivere” (del “Gruppo del Mercoledì”, un laboratorio femminista di cui faccio parte) sono emerse le risorse che potrebbero entrare in campo se vi fosse la possibilità di guardare alla quotidianità in modo nuovo, assumendo il punto di vista della “cura” come spazio dell’agire politico e rimettendo in gioco lo sguardo del femminismo. Il tema della cura non si risolve né si traduce nella richiesta di servizi sociali: implica un modo diverso di stare al mondo, per ricostruire una socialità che la lunga stagione neo-liberista ha frammentato, spingendo la libertà femminile all’implosione nella spirale della famiglia e del precariato.
Purtroppo però non mi sembra che la libertà femminile delle donne sia al primo punto nel dibattito di Alba o degli altri soggetti della sinistra. E anche la campagna di Snoq contro il “femminicidio”, il cui esito, sembra di capire, dovrebbe essere una nuova legge, non è chiara su questo punto.
Per sciogliere il continuum di violenza che dalle misere versioni del “burlesque” o delle “nipoti di Mubarak” arriva alla furia omicida degli uomini contro le donne, serve molto di più di una legge e di una raccolta di firme. Servirebbe, ad esempio, riprendere con forza il dibattito su “sesso e potere”, che è stato oggetto su queste pagine delle lucide analisi di Ida Dominjanni. Un dibattito troppo presto abbandonato, non solo perché scomodo alla politica tutta, ma anche perché richiede una dimensione autocoscienziale che sembra ormai perduta. Laddove invece resta necessario, come molte femministe dicono nei siti e nei blog disponibili, un lavoro costante sui meccanismi culturali e materiali che generano potere e esclusione nelle relazioni tra uomini e donne. Un’attenzione maggiore alla dimensione autocoscienziale potrebbe quindi risultare politicamente più efficace che non rivolgersi soltanto al circuito della legge, della rappresentanza e della rappresentazione. Se non altro metterebbe in imbarazzo il maschilismo strisciante del “Movimento 5 Stelle” e farebbe chiarezza sul cambio di passo necessario.

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