La controbibbia di Jack Kerouac è una vitale e ritmata jam session

Il brasiliano Walter Salles riadatta «On the road» 

Il brasiliano Walter Salles riadatta «On the road» 

CANNES. Il regista coglie senso e tensione del testo fondamentale della beat generation Six, sax & sex. Sei gli angeli che rivoluzionano la letteratura Usa alla fine degli anni 40: Kerouac, Ginsberg, Burroughs, Ferlinghetti, Gary Snyder, Diane di Prima, e gli altri figli beat di Thoreau e Whitman, scrittura di confine, sempre mutante, tra ciò che si sa e ciò che non si conosce ancora. Ventenni buddisti in cerca di qualcosa che non trovavano, anzi si perdono, ma incontrano Joyce, la cibernetica, la scatola orgonica di Reich. E, al di là della frontiera strappata ai Sioux, consigliano una dieta spirituale a base di movimento libero e, se lo trasformano in flessibilità, di peyote o benzedrina. Il sax è il contralto di Charlie Parker che, dal tenore di papà Lester Young trascinò le sezioni ritmiche in spazi sconosciuti e fabbricato, con Dizzy, Hal e Telonious, il bebop, nuova forma di ardua consonanza sulle ceneri dello swing, costringendo il corpo umano a modificarsi, ibridarsi, poli-sessualizzarsi prima che sia impossibile respirare, vivere, funzionare e danzare come prima. Koko, Scrapple from the apple, come sirene allarmate… Il sesso ? Si strappò, dal 1947 al 1957, al puritanesimo integralista e ai fascismi d’ogni colore, una libertà geografica (su giù dietro davanti) mai concessagli. E trans-tutto. Ricordate il processo a Tropico del cancro? Le battaglie gay nel Village di Manhattan? E il codice Hays che si sbriciolava? Sintetizzò tutto questo Sulla strada , tre settimane di action painting letterario sintetizzato sulla macchina da scrivere, dopo i tre viaggi in autostop, treno, a piedi, in macchina compiuti da Kerouac con le sue camicie a quadrettoni e il superposteggiatore Cassidy nel ’47, ’49 e ’50, da est a ovest, passando per Denver, Chicago, New York, Des Moines… la natia Lowell, Massachusetts, e gli appunti, le scritture e riscritture di oltre dieci anni. Il romanzo è ora finalmente film, il secondo, da Kerouac, dopo la versione in cinemascope cool dei Sotterranei di San Francisco e dopo un preventivo, professionale e documentatissimo documentario. In una scena indimenticabile di questo Sulla strada , firmato dal più nordamericano dei brasiliani Walter Salles jr. ( High Art, Diario della motocicletta ), in concorso, dentro l’auto anni 40 che vola nel deserto, Kristen Stewart (la quasi vampira di Twilight interpreta la minorenne Marilou-Luanne Henderson) al centro, con i suoi due uomini, Sam Riley (Sal Paradise, cioé Kerouac) a destra e Garrett Hedlum (Dean Moriarty-Neal Cassidy) alla guida. Sono tutti e tre nudi, e il cambio a mano viene sostituito da ben due cambi, sincronizzati a mano da Marilou, ed entrambi, cronenberghianamente turgidi e sul chi vive… 55 anni per portare quel libro sullo schermo. On the road , il ritratto dei giovani ventenni che rifiutano il lavoro sotto il capitale e preferiscono correre per il paese, tra microcriminalità e vagabondaggio. La mitica controbibbia della ‘beat generation’, il testo che ha colto ritmo e tensione della rivolta interiore e esteriore a venire della gioventù di tutto il mondo, fu pubblicato, senza censura, da Viking Press il 5 settembre 1957. Il film non lo ha fatto Marlon Brando, nonostante le richieste pressanti di Jack Kerouac. Non lo ha fatto Monty Clift. Né Coppola come regista, che pure opzionò il libro nel 1970. Non è riuscito a dargli una struttura convincente neppure Gus Van Sant. Ma adesso c’è. È brasiliano nella regia, franco-americano-australiano nella produzione (Karmitz-Coppola e RebeccaYeldham), un po’ messicano nella musica (Gustavo Santaolalla, affiancato da Charlie Haden), anche argentino nel disegno compositiva (Carlos Conti). Con Tom Sturridge che è Allen Ginsberg-Carlo Marx; Viggo Mortensen che fa William Burroughs-Old Bull Lee e Kirsten Dunst come Camille-Carolyn Cassidy, più una sventagliata di vintage, libri di Proust, Céline e Rimbaud a volontà, jam session jazz scatenate, bevute d’obbligo d’ogni cosa, pere, sesso sempre, poliziotti che vi immaginate, lunghe strade assolate e deserte che da Denver conducono a Frisco e da Phoenix City a Mexico City. C’è tutto, perfino i finestrini dei treni che per Kerouac erano «il cinema», magari pensando a Brakhage. Ma è come se tutto fosse in vitro, devitalizzato. L’operazione è internazionale: luci di Eric Gautier, montaggio di Francois Gedigier, i costumi di Danny Glicker di Restless di Gus Van Sant. E funziona. Ma le avventure ai confini di se stessi del trio e compagnia, sono intrappolate dalla struttura canonica «inizio-centro-fine» senza sbandare mai, perché viene privilegiato l’asse «ricerca dell’identità-paternità dei due buddies», Sal (che ha appena perso il padre) e Dean (che non lo trova), cercando di dare maggiore autonomia psicologica, rispetto al romanzo a torto considerato maschilista, a donne che invece la perdono. E il tono, alla fine, è un filo populista quando Sal, l’intellettuale newyorchese, a libro finito, chiude l’amicizia con Dean, l’amico poeta proletario vampirizzato, il perfetto «neo hobo» che ha passato un terzo della vita in carcere, un terzo della vita da sballato e un terzo in biblioteca). Solo per far capire che Kerouac appoggerà i crimini di Nixon in Vietnam…Sarà perché il suo sommo desiderio segreto era festeggiare On th e road il film, con lo champagne a Hollywood. Alla memoria ce l’ha fatta.

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