Il sospetto e l’intrigo

Gramsci, il Pci, Stalin negli scritti del carcere. Con gli strumenti del filologo Luciano Canfora offre una ricostruzione originale della genesi, della pubblicazione e della delicata gestione politica dell’opera del leader comunista. Dalla lettera di Grieco al ruolo di Togliatti: tensioni, provocazioni e tradimenti nella lunga notte degli anni 30

Gramsci, il Pci, Stalin negli scritti del carcere. Con gli strumenti del filologo Luciano Canfora offre una ricostruzione originale della genesi, della pubblicazione e della delicata gestione politica dell’opera del leader comunista. Dalla lettera di Grieco al ruolo di Togliatti: tensioni, provocazioni e tradimenti nella lunga notte degli anni 30


FILOLOGIA E POLITICA SONO DUE COSE CHE NON SIAMO TANTO ABITUATI A METTERE IN RAPPORTO: ma proprio a proposito della vicenda della pubblicazione delle lettere e dei Quaderni del carcere di Gramsci questo rapporto viene messo in nettissima evidenza da Luciano Canfora, la cui ottica di storico e filologo (e di studioso dell’antichità) giunge a districare nel modo più concreto questioni che troppo spesso vengono affrontate in modo esteriormente polemico. Il nuovo libro Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno Editrice, pagine 304, euro 14,00) ha al suo centro la ricostruzione della travagliata storia di alcune lettere di Gramsci, escluse dalla prima edizione (1947) delle Lettere dal carcere: con un seguito di trascrizioni, copie fotografiche, esitazioni, reticenze, occultamenti, determinati dal fatto che, nel caso di un leader come Gramsci, la gestione stessa della sua eredità e quindi ogni scelta editoriale non poteva non essere sentita come un atto politico. Si tratta in primo luogo di tre lettere del ’28, del ’32 e del ’33, in cui Gramsci si riferiva al danno causato alla sua situazione di prigioniero da una lettera inviatagli a San Vittore con data 2 febbraio 1928 da un dirigente del partito, Ruggiero Grieco, «con informazioni politiche un po’ aberranti e un po’ iattanti», che gli diedero l’impressione di una deliberata malevolenza del partito nei suoi confronti e di essere state causa del fallimento della trattativa con l’Urss per la sua liberazione.
È una vicenda in cui sono in scena moltissimi attori e si esibiscono moltissime carte, con tanti passaggi, nella vita e nei rapporti del prigioniero, nella storia del partito in quegli anni e in quelli successivi, con le varie edizioni delle lettere fino a quella definitiva curata da Chiara Daniele e Aldo Natoli. Ma al centro di tutto è naturalmente Gramsci, con l’eroica tensione di un pensiero capace di resistere alle tremende difficoltà della situazione carceraria. Dopo aver notato che la grandezza dei Quaderni non sta tanto nell’indicazione di immediati modelli politici e programmatici, quanto nella sua tesa problematicità, Canfora insiste sull’interpretazione che vi viene data del fascismo come «rivoluzione passiva», reazione diventata maggioritaria nella società (interpretazione ben diversa da quella data allora dal movimento comunista internazionale).
LA LETTERA DI GRIECO
Molti dubbi si affacciano su Grieco e sulla sua lettera: e si ricorda che, quando egli diresse il partito (tra il ’35 e il ’37), pubblicò dopo la guerra d’Etiopia un appello al popolo italiano per la conciliazione nazionale, in cui si rivolgeva anche «ai fratelli in camicia nera», affermando addirittura l’intenzione dei comunisti di fare proprio «il programma fascista del 1919», che sarebbe stato tradito dal fascismo al potere. Questo appello fu motivo di sbandamento per molti militanti: è un documento poco noto e quasi inquietante, che Canfora riporta in appendice, insieme ad altri documenti spesso sorprendenti (come quelli che riguardano Ezio Taddei, figura di anarchico autore di vari atti di provocazione e di denigrazione, anche nei confronti di Gramsci, ma riuscito nel dopoguerra ad approdare nel Pci).
La linea indicata in quell’appello di Grieco era del tutto contraddittoria rispetto alla politica di adesione ai fronti popolari, allora sostenuta dal Komintern: ed è indice di un momento di grande confusione nel partito (in parte superata dalla rimozione di Grieco dalla segreteria). Ma tutto ciò (proprio a partire da quella famosa lettera del 2 febbraio 1928) trova radice nel difficile groviglio della lotta politica di quegli anni, tra attività del Centro Estero del partito in Urss e nei paesi democratici europei, clandestinità, comunicazioni reticenti o indirette, azioni poliziesche, presenze di infiltrati, provocatori, delatori, ecc.: un mondo con cui Gramsci prigioniero ha rapporti inevitabilmente indiretti (a parte le visite che può ricevere), mentre le sue lettere approdano in mani diverse.
In questo difficile groviglio, che Canfora ripercorre approfondendo e illuminando in modo nuovo anche tanti dati già noti, sta forse una delle ragioni essenziali della sfasatura tra la posizione di Gramsci in carcere (anche dopo la sua tardiva liberazione prima della morte) e quella del partito, del senso di dissidio, di sospetto, di ostilità di cui egli sentì la traccia più pesante in quella lettera del ’28: sfasatura che paradossalmente alimentò il suo originale pensiero, lo portò in un certo senso al di là della stessa situazione politica contingente da cui pure era scaturito e a cui cercava di rispondere. Per questo nella storia dell’edizione delle Lettere dal carcere (come in quella dei Quaderni) il nesso tra filologia e politica risulta determinante. Il tardo emergere di molte lettere (tra cui quelle tre che toccano il caso della lettera di Grieco) trova una sua giustificazione proprio nel carattere politico che il lascito di Gramsci assume nella storia del Pci del dopoguerra: Canfora mostra che il progressivo e faticoso disvelamento storiografico si legava a un impegno a mettere il pensiero di Gramsci «ogni volta in accordo con la trasformazione in atto», riconoscendo nel contempo in esso «la sola “forza intellettuale” capace di garantire continuità e unità nel corso della trasformazione».
In questa operazione è stato centrale il ruolo di Togliatti, che, dopo aver tenute nascoste le lettere in questione, decise negli ultimi anni di fornirle a nuovi editori (sulle cui reticenze e incertezze Canfora dà molte pungenti indicazioni). A Togliatti, del resto, Canfora riconosce il merito di aver compiuto, già con la prima pubblicazione dei Quaderni, un atto di grande «autonomia intellettuale» dal modello sovietico, primo passo verso il contrastato distacco politico, che avrebbe ricondotto il Pci «nell’alveo principale del movimento operaio, cioè nella socialdemocrazia distaccandosi dalla quale il partito era nato». Anche questo, nel solco del pensiero di Gramsci: ma qui la discussione è aperta, con gli stimoli nuovi garantiti da questo libro ricco di tanti anche particolarissimi dati storici e testuali.

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