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Il salto di qualità 

  La rivendicazione dell’agguato a Roberto Adinolfi è dunque arrivata. Quattro pagine con posta ordinaria che annunciano nuovo sangue e un passo da cui non si torna indietro. La “Federazione anarchica Informale” (Fai) “Nucleo Olga”, che la firma, promette altro piombo nelle gambe di «altri servi». Chiude con la stagione dei pacchi-bomba, con l’infanzia insurrezionalista dei “fuochi e affini”, dunque con l’anarchismo novecentesco.

  La rivendicazione dell’agguato a Roberto Adinolfi è dunque arrivata. Quattro pagine con posta ordinaria che annunciano nuovo sangue e un passo da cui non si torna indietro. La “Federazione anarchica Informale” (Fai) “Nucleo Olga”, che la firma, promette altro piombo nelle gambe di «altri servi». Chiude con la stagione dei pacchi-bomba, con l’infanzia insurrezionalista dei “fuochi e affini”, dunque con l’anarchismo novecentesco.

 

E ne annuncia la raggiunta maturità violenta, battezzando il tempo delle «pistole», di un nuovo «spontaneismo armato», liquido, orizzontale, “virale”. Che ha scoperto «il piacere di un caricatore pieno». La “Fai” aggiorna la lista dei nemici da abbattere nel Pantheon del Potere, dichiarando guerra a Finmeccanica, ai suoi dirigenti. Chiede «complicità» e non consenso. Emuli e non spettatori. A chi galleggia nell´area del radicalismo movimentista intima di scegliere tra «cittadinismo» e «rivolta». Il salto di qualità è un fatto. Non più un´opzione.
Per dirla con la metafora a suo modo immaginifica di un dirigente della nostra Antiterrorismo, «con lo sparo di Genova l´anarco-insurrezionalismo entra nella sua dimensione 2.0». Attraversa il Rubicone di un lunghissimo e parzialmente clandestino dibattito interno, rompendo materialmente e simbolicamente con l´antica tradizione «esplosivista», «bombarola», sequenziale ma “episodica”, della stagione dei “fuochi e affini obiettivamente spettacolari” (così si firmava la “Cooperativa” anarchica da cui tutto è cominciato due lustri or sono). Scava, per citare il testo del documento, «un solco con certo anarchismo infuocato solo a chiacchiere e intriso di gregarismo» per decidersi a «impugnare una stupida pistola». Fa «un passo in più per uscire dall´alienazione del “non è ancora il momento”, “i tempi non sono maturi”».
Dichiara, con una linguaggio e una prosa che tradiscono una mano “giovane” e nulla hanno a che spartire non solo con la legnosità ideologica della tradizione della violenza politica di matrice marxista-leninista ma persino con l´involuta prolissità di certo antico anarchismo, che «vincere la paura è stato più facile di quanto ci si immaginasse». E nel voluto richiamo estetico del “gesto violento e nichilista”, anche questo geneticamente anarchico («Pur non amando la retorica, con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani. Con piacere abbiamo riempito il caricatore»), dichiara di cercare «complicità» e «non facile consenso». Militanti disponibili a disfarsi del loro «orticello di democratico dissenso». A non accontentarsi più «di qualche sporadico scontro di piazza, tanto per mettere a tacere la propria coscienza rivoluzionaria».
È una pessima notizia. Che conferma la dimensione “liquida”, “orizzontale” della minaccia (come tale più difficili da prevenire). La sua dimensione “nucleare”, appunto. E dà ragione alle analisi preoccupate del capo della polizia Antonio Manganelli («Se fino ad oggi non c´è scappato il morto, come ad esempio in Grecia, è perché abbiamo avuto la fortuna che non accadesse», ebbe modo di dire il 22 febbraio scorso, durante la sua audizione in Parlamento), quanto al paziente lavoro di analisi e indagine condotto negli ultimi due anni dal Ros dei carabinieri e dall´Aisi, il nostro Servizio interno. Che costringe ora a guardare dritto negli occhi una “creatura” che i nostri apparati hanno visto nascere e di cui hanno seguito l´evoluzione. Ma che nessun tribunale italiano, negli ultimi tre anni, è mai riuscito a consegnare a responsabilità penali concrete, perché difficili da provare.
Non più tardi del 18 dicembre del 2009, Carlo De Stefano, oggi sottosegretario all´Interno e in quei giorni direttore dell´Ucigos, la nostra Polizia di prevenzione, così raccontava a “Repubblica” la “Fai”: «Dal 2003, l´anno in cui si dichiarano per la prima volta a Bologna con un ordigno vicino all´abitazione dell´allora presidente della Commissione europea Prodi, abbiamo imparato a conoscerli. Parliamo di una cinquantina di militanti tra Bologna, Torino, Genova, Milano e alcune città toscane. Non è un´organizzazione. È un´aggregazione che per altro non vive in clandestinità e si alimenta di uno spontaneismo violento individuale che, in questi anni, ha avuto come parole d´ordine e obiettivi il carcerario e i centri di raccolta per immigrati clandestini». In quegli stessi giorni, l´Aisi, nella sua relazione semestrale al Parlamento, indicava «le cellule di fuoco dell´anarco-insurrezionalismo» come «l´area eversiva più vitale», sia pure dalla ridotta capacità di “contagio”, perché «con una forza di proselitismo pressoché nulla».
Tre anni e uno scenario sociale ed economico incrudelito hanno cambiato i termini del quadro. In questo intervallo temporale, le «campagne di fuoco» della Fai infatti non si spengono e, con cadenza annuale, colpiscono a Gradisca d´Isonzo, sede di un Cie e alla Bocconi di Milano (2009), a Roma le ambasciate di Argentina, Cile, Svizzera (dicembre 2010), a Livorno la caserma dei paracadustisti Folgore (marzo 2011), ancora a Roma la sede di Equitalia (dicembre 2011) e a Francoforte quella della Deutsche Bank. La discussione interna “internazionalizza” le voci dell´agenda insurrezionalista, con un richiamo costante ai temi e alle azioni delle “Cellule di cospirazione di fuoco” della vicina Grecia, di cui è testimonianza il simbolo. «Proponiamo cinque frecce di diversa lunghezza che, da diverse direzioni, colpiscono unite il potere. Sormontate da una stella nera con una “A” all´interno. Sempre che i compagni greci siano d´accordo», scrivono in un documento di rivendicazione di pacchi bomba inviati alla “Swiss Nuclear” e al carcere greco di “Koridallos”.
Il Pantheon del «Potere da abbattere», dello «Stato da distruggere» si arricchisce di nuovi, concreti nemici. L´industria del Nucleare, le holding che lavorano nei settori della sorveglianza elettronica, delle armi, dei treni ad alta velocità, come Finmeccanica, «la piovra assassina». Il tempo, dunque, è finito. La “Fai” è già un´altra cosa. E “i 50 militanti” di due anni fa promettono, scommettono di moltiplicarsi. Tornando a sparare. «Una volta per ciascuno dei fratelli greci ancora detenuti».

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