I ricordi sono fantasmi

«Mekong Hotel» di Apichatpong Weerasethakul 

«Mekong Hotel» di Apichatpong Weerasethakul  CANNES. Il regista thailandese compone una ballata malinconica sulle rive del fiume che scorre in mezzo alla Storia di paesi in conflitto Mekong Hotel ha il suono malinconico di una ballata sussurrata alla chitarra con dolcezza, di cui nel tempo si è persa qualche nota. Il regista, Apichatpong Weerasethakul, parla davanti al fiume con un vecchio amico musicista, che cerca quella melodia, l’ha in mente ma non riesce a catturarla, anche se, come dice, l’ha scritta lui stesso. Dalla prima immagine Mekong Hotel dichiara la sua duplice (molteplice) natura, una messinscena della realtà che percorre vie impreviste e imprevedibili. Nel flusso del tempo, e di una melodia ripetuta, i piani del racconto si confondono, quasi entrano uno nell’altro. Ci sono un ragazzo, una ragazza, e una donna, la madre della giovane. È uno spirito, torna perché la sua anima è destinata a errare nel fiume. E per placare il dolore che la rende rabbiosa, divora animali e uomini, ne tira fuori le viscere coi denti… Lo chiamano Pob, appartiene alle leggende della zona, il nord est della Thailandia, sul confine col Laos. Nell’oscillazione dei piani narrativi la donna più anziana ricorda di quando sono arrivati gli immigrati dal laos in fuga dalla guerra civile. Loro, i thailandesi, e lei stessa, erano gelosi perché avevano molto da mangiare, in quanto profughi nutriti dalle organizzazioni umanitarie, mentre loro facevano la fame. Il fiume scivola, lento, e così le sue storie. Il passato sono gli anni sessanta e settanta, il presente la televisione che annuncia le inondazioni, la memoria dello tsunami e delle sue valanghe d’acqua. C’è qualcosa di magico in questo film, emozionante nel suo essere impalpabile (si può pensare a Resnais) ed è la capacità che ha Weerasethakul di confrontarsi con la dimensione «reale», con la storia e con il presente in un sistema di immaginario complesso. La realtà si manifesta tra fantasmi e scimmie con gli occhi rossi, come nel precedente Uncle Boonmee , di cui questo Mekong Hotel , nelle Séance Speciale, ripercorre i luoghi e le storie. L’elemento fantastico anzi spalanca una visione più profonda, permette di ricomporre i conflitti del passato e del presente cosi come la dimensione personale restituisce le contraddizioni della memoria collettiva. Sulla t-shirt del ragazzo protagonista c’è scritto Joe, il soprannome del regista. Ascoltiamo la voce della donna, un attimo prima fantasma, ripercorrere ricordi dolorosi e dare voce alla paura delle inondazioni che ha segnato la vita del paese. Il film nasce da un vecchio progetto, Ecstasy Garden a cui il regista ha iniziato a pensare visitando la sua attrice, originaria della zona, che per un incidente era ricoverata in ospedale. «Il confine tra Thailandia e Laos, dove abbiamo girato, è il luogo in cui meglio si notano i cambiamenti nei due paesi tra gli anni sessanta e settanta. Nella percezione generale si tendevano a confondere, ma il Laos dopo la guerra civile è diventato un paese molto isolato, quasi misterioso. E il fiume Mekon g una barriera tra di noi, mentre sui media crescevano i pregiudizi e il nazionalismo contro i laotiani», dice Weerasethakul I giovani ascoltano, fantasmi a loro turno, posseduti dalla donna. La figlia vuole sapere dalla madre di quelle storie che fluiscono nel corso della corrente. Lo scontro tra i due paesi, la fuga delle coppie thai/ laotiane in Francia, l’educazione militare dei giovani thailandesi negli anni Settanta E questa trasmissione di memoria, diviene terreno di un fare cinema che crede ancora nell’invenzione contro i sistemi chiusi e le schematizzazioni di genere documentario / finzione in cui il festival di Cannes nella selezione ufficiale continua a cadere. Dentro e fuori, nel passaggio dalle diverse dimensioni, che è anche presa di distanza, Weerasethakul cerca la relazione con la materia del mondo inafferabile e misteriosa. La calma del fiume, il sangue dei vampiri, il cinema di Joe è tempo e movimento. Invenzione di uno sguardo sul mondo.

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