I centri sociali: “Conflitto, non violenza”

I terroristi sarebbero in cerca di alleanza nei movimenti: “Ma le due realtà  sono antitetiche”.  Matteo Jade, anima dello Zapata: noi cerchiamo consenso. “C’è una differenza sostanziale tra chi ci mette la faccia e chi fa la scelta della clandestinità “. “Perché Genova? È un simbolo e quella del G8 è un’eredità  che lascia un segno” 

I terroristi sarebbero in cerca di alleanza nei movimenti: “Ma le due realtà  sono antitetiche”.  Matteo Jade, anima dello Zapata: noi cerchiamo consenso. “C’è una differenza sostanziale tra chi ci mette la faccia e chi fa la scelta della clandestinità “. “Perché Genova? È un simbolo e quella del G8 è un’eredità  che lascia un segno” 

«IL conflitto non vuol dire violenza». Matteo Jade, anima del centro sociale occupato e autogestito Zapata, un po´ se lo aspettava che il mondo dei centri sociali finisse sotto i riflettori appena il terrorismo è tornato a rialzare la testa. Ma respinge questo collegamento. «I centri sociali e il mondo del terrorismo sono antitetici – spiega – perché tutte le azioni intraprese dai centri sociali sono mirate a cercare consenso, magari anche attraverso il conflitto, ma sempre con l´obiettivo di diffondere le proprie convinzioni, mentre leggendo il volantino di rivendicazione dell´attentato di Genova appare evidente che a loro non interessa minimamente il consenso, vogliono solo agire e basta».
Non esiste allora il rischio che il terrorismo possa infiltrarsi o comunque cercare un´area di contiguità nel mondo dei centri sociali?
«I centri sociali sono una realtà ormai consolidata, a Genova hanno quasi vent´anni, e una storia chiarissima di ricerca di consenso e di coinvolgimento a 360 gradi, che fa a pugni con l´opzione della clandestinità scelta dal terrorismo. E´ insomma un´impostazione completamente differente, a partire dagli anni 2000 in poi, dopo Tebio, qui a Genova si è costituito il movimento no-global, che si è esteso un po´ in tutto il mondo, ed è un movimento che coniuga consenso e conflitto, ma senza mai perdere d´occhio il consenso».
Il conflitto non rischia di sfociare nella violenza, come è accaduto ad esempio nelle manifestazioni di piazza San Giovanni a Roma?
«Le manifestazioni possono andare bene o male, ma c´è una differenza sostanziale tra chi sceglie la clandestinità e chi invece ci mette la faccia. Esiste un discrimine fondamentale, che è l´uso delle armi fatto dal terrorismo, si tratta di ben altra cosa rispetto alle manifestazioni di protesta, che mirano invece a coinvolgere la gente e che hanno dei contenuti concreti. Penso ad esempio al movimento no-Tav, nasce da una rivolta di chi abita in Val di Susa e ritiene sbagliata quell´opera, e lo dice da vent´anni. Noi a quelle manifestazioni ci siamo sempre andati e continueremo ad andarci».
Il terrorismo non può tentare di infiltrarsi anche nei movimenti, che sono un mondo più fluido rispetto ai centri sociali?
«Io ho la sensazione che chi parla tanto di rischi di infiltrazione lo faccia anche per spostare il problema e non dare mai risposte concrete alle questioni vere poste da chi non vuole la Tav e non la vuole presentando motivazioni precise, basate su dati scientifici. In questo modo si alza un gran polverone e non si ascoltano mai i problemi posti, mentre invece i movimenti chiedono solo di confrontarsi, di avere un dialogo vero. In fondo se così tante persone sono contrarie ad un´opera, qualche motivo ci sarà».
Ma perché alla fine il terrorismo ha colpito di nuovo proprio a Genova, la città dove era già partito in passato il fenomeno delle Brigate Rosse?
«Perché Genova? Ce lo chiediamo anche noi. Quello che so è che a Genova abbiamo ancora una grande questione irrisolta, le ferite del G8 non sono state sanate, anzi, le sentenze non hanno reso giustizia alle violenze che sono state commesse, altro che città dei diritti, qui si consumata la prima grande violazione dei diritti umani degli anni Duemila, così alla fine Genova è diventata un po´ un simbolo ed è un´eredità che lascia un segno».

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