Gli studenti, loro c’erano

IO NON HO PAURA · A Brindisi il corteo auto-organizzato per Melissa: «Perché proprio a noi?»

IO NON HO PAURA · A Brindisi il corteo auto-organizzato per Melissa: «Perché proprio a noi?»
Mancava la città, che è rimasta a guardare. E, salvo poche delegazioni, il resto d’Italia Si sono fatti sentire Quel sabato maledetto La domanda è secca, di quelle che non ammettono repliche ed è rivolta a Melissa. Gli studenti della I C l’hanno scritta con un pennarello giallo sopra uno dei tanti cartelli che adesso sono appesi davanti alla Morvillo-Falcone in mezzo ai mazzi di fiori, piccoli peluche e manifesti listati a lutto. Dice: «Hai visto quant’è bastardo un uomo?». Non è certo retorica. Il vigliacco che sabato scorso ha ucciso Melissa Bassi e ferito gravemente le sue compagne di scuola, probabilmente ha ucciso anche la fiducia di questi ragazzi verso il mondo degli adulti. Di sicuro «verso un mondo che ci fa schifo, un mondo in cui una ragazza di 16 anni muore mentre va a scuola», come spiega a sera Martina Carpani, studentessa di Ostuni e rappresentate della rete della conoscenza. Insieme a Cgil, Libera e Arci, la rete ha organizzato la manifestazione che ieri sera ha attraversato Brindisi a una setitmana esatta dall’attentato. «Abbiano fatto tutto da soli, e solo in pochi giorni», dicono giustamente con orgoglio gli studenti. Che però si aspettavano una partecipazione maggiore, per una manifestazione che doveva essere nazionale. A sfilare dalla scuola di Melissa fino alla centralissima piazza Vittoria sono invece in cinque-seimila, tutti giovani con indosso la maglietta bianca preparata per l’occasione con la scritta «Io non ho paura». Loro c’erano, e si sono fatto sentire come meglio non avrebbero potuto. Con le mani e la faccia colorate, urlando «Stiamo tutti con il Morvillo», ritmando «Melissa vive» e «Giù le mani dagli studenti». Loro c’erano. Mancavano tutti gli altri. Mancava Brindisi, che ha lasciato soli i suoi studenti limitandosi a guardare ma senza partecipare alla manifestazione. E manca l’Italia, che dopo appena sette giorni ha lasciato sola Brindisi a fare i conti che l’orrore. Perché salvo qualche delegazione in arrivo di Genova, Napoli e Roma, gli studenti hanno disertato l’appuntamento. «Noi comunque siamo soddisfatti – prosegue Martina -. Siamo riusciti a dimostrare che gli studenti non hanno paura, e quella di oggi è comunque un punto di partenza». Davide, invece, ammette la delusione. «Sì è vero, ci aspettavamo molte più persone – ammette guardandosi intorno prima della partenza del corteo -. Forse se ci fossero più persone coraggiose non saremmo a questo punto». Una convinzione attraversa tutto il corteo. La scelta di una scuola come obiettivo dell’attentato non pare casuale. «La scuola fa paura, perché forma intelligenze, e questo fa paura», dice una ragazza con il viso colorato di rosso. Il corteo comincia a sfilare. Tra i pochi adulti presenti c’è Gino Stasi, che ha un’associazione a Mesagne, il paese in cui sono nate Melissa e Veronica Capodieci, la ragazza rimasta gravemente ferita, ma anche il paese in cui è nata la Sacra corona unita. «La criminalità è stata sconfitta, ma cosa è rimasto di questo successo ai giovani? – si chiede Gino -. Pochi giorni fa a Mesagne c’è stato un convegno sulla legalità organizzato dalla provincia, beh erano presenti solo gli organizzatori. Mesagne non c’era, perché non è abituata. E sai che significa questo? Che manca una cultura della legalità. E abbiamo dato alla mafia l’occasione di essere populista, di prendere i consensi che si merita». Il riferimento di Gino è all’«offerta» fatta dalla sacra corona unita di trovare il killer della Morvillo. Un’offerta che anche Martina, parlando dal palco, non esita un attimo a respingere al mittente: «Diciamo no, perché loro rappresentano l’illegalità contro la quale lottiamo». Dal palco parlano anche le compagne di scuola di Melissa. «Quel sabato maledetto ci è crollato il mondo addosso, ancora non mi sembra possibile tutto questo – dice una di loro -. Abbiamo paura di superare quel cancello. Ci chiediamo: perché proprio a noi? Perché proprio una scuola? La scuola dovrebbe proteggerci dalle cose brutte. Chi ha causato tutto questo deve pagare, abbiamo il dovere di far capire che noi ragazzi del Sud abbiamo gli stessi valori e gli stessi diritti degli altri». La piazza ascolta attenta e commossa. Applaude quando dal palco si torna a chiedere, come fa Martina, di tornare a studiare, di tornare a vivere e di vincere la paura con la cultura. A un certo punto lo ripete anche un bambino che avrà al massimo sei anni. «Voglio dire solo una cosa – dice dal microfono: e questa cosa è che non dobbiamo avere paura».

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