Doccia scozzese per Londra

EDIMBURGO · Fissato per il 18 ottobre 2014 il referendum sull’indipendenza. Un tema caldo che interessa anche altri paesi

EDIMBURGO · Fissato per il 18 ottobre 2014 il referendum sull’indipendenza. Un tema caldo che interessa anche altri paesi
La stampa lo chiama «The Destiny Day». La regione britannica ha già un governo semi-autonomo dal ’99 Day of Destiny, il giorno del destino. Così, lo Scottish Sun on Sunday (di proprietà di Rupert Murdoch) ha annunciato in esclusiva la data del referendum sull’Indipendenza della Scozia. Il 18 ottobre 2014. Lo Scottish Nationalist Party, che governa il parlamento decentrato scozzese ed è impegnato nelle sue consultazioni ufficiali sui meccanismi e dettagli del referendum, ha deciso di rompere il silenzio che si era dato sulla data della consultazione per annunciarla, in esclusiva, a un giornale del magnate (un po’ in disgrazia per le note vicende di intercettazioni) australiano. Lo stesso Murdoch del resto in un suo tweet postato a febbraio aveva dichiarato: «Lasciate andare la Scozia, che possa competere. Tutti vinceranno». Attraverso una devolution di poteri e competenze, la Scozia nel settembre 1997 ha conquistato un proprio parlamento con un referendum e dal 1999 un proprio governo semi-autonomo. La devolution (che oltre alla Scozia ha interessato anche Irlanda del Nord e Galles) è stata una delle politiche portanti del progetto di Tony Blair e del suo New Labour. Attualmente il governo scozzese ha competenze legislative limitate esclusivamente alle materie di interesse locale. Negli anni la Scozia non ha mancato di far sentire la sua voce e di adottare politiche in controcorrente rispetto alla Gran Bretagna. Lo Scottish Nationalist Party al potere dal 2007 (nelle elezioni del 2011 il primo ministro Alex Salmond è stato rieletto dopo che il suo partito ha ottenuto 69 seggi, su 129, e la maggioranza assoluta) ha rivelato a gennaio 2012 i dettagli del referendum sull’indipendenza da tenere nel 2014. La scheda avrà un quesito semplice, «Siete d’accordo che la Scozia dovrebbe essere un paese indipendente?» Va da sé che il dibattito politico in Scozia e nel resto del Regno unito sarà dominato dalla questione del referendum e dell’eventuale indipendenza della Scozia. Ma il dibattito interesserà anche il resto d’Europa, perché al centro della questione posta dalla Scozia con la decisione di tenere la consultazione c’è evidentemente un nodo che rimane da sciogliere in altri paesi, anche europei: un popolo ha diritto a decidere della sua autodeterminazione? I repubblicani in Irlanda del Nord hanno in agenda un referendum per decidere se rimanere parte del Regno unito o unirsi alla Repubblica d’Irlanda. Una opzione, quella del referendum, che anche l’accordo di pace anglo-irlandese considera possibile. E poi c’è il Paese Basco, che guarda oggi alla Scozia con rinnovato interesse. È chiaro che se la Scozia diventasse indipendente questo creerebbe un precedente molto importante anche per altri paesi. Compresi molti extra-europei, basti pensare al Kurdistan. E in fondo il sud del Sudan nel 2011 ha ottenuto l’indipendenza con un referendum. In questi mesi si stanno moltiplicando in giro per l’Europa convegni e conferenze sull’autodeterminazione. «Quella della sovranità – dice Gerry Adams, presidente del Sinn Fein irlandese – rimane la questione chiave irrisolta nella relazione tra Irlanda e Gran Bretagna, ma lo stesso vale per Cina e Tibet». Uno dei punti più importanti per il Sinn Fein nei negoziati che hanno portato, il 9 aprile 1998, all’accordo del Venerdì santo ha riguardato proprio la garanzia di un meccanismo, all’interno dell’accordo stesso, che mettesse nero su bianco il fatto che il governo inglese era impegnato a legiferare per una Irlanda unita qualora la maggioranza nel nord Irlanda lo volesse. Il Sinn Fein ha girato l’Irlanda e la Gran Bretagna organizzando una serie di conferenze dal titolo «Irlanda unita – verso una nuova repubblica». Ma ha partecipato anche a convegni internazionali sul tema dell’autodeterminazione. In particolare il processo in atto nel Paese Basco ha aiutato a mettere ulteriormente a fuoco la questione e soprattutto i nuovi paradigmi e lenti per leggere e intendere l’autodeterminazione e l’indipendenza. In queste settimane nel Paese Basco si è tornato ad affrontare il discorso con un incontro tra rappresentanti di Scozia, Fiandre, Catalonia, Kurdistan. Uno studio pubblicato a novembre dal Journal of Economic Growth ha concluso che sia la Scozia che Euskal Herria (il Paese Basco) otterrebbero significativi benefici con l’indipendenza e questo non solamente dal punto di vista economico ma anche di identità culturale. In Scozia, il mondo della cultura nella sua maggioranza, si è pronunciato a favore dell’indipendenza. Dall’attore Sean Connery («Se sostengo l’indipendenza della Scozia è soprattutto per un motivo semplice e convincente: perché credo nell’eguaglianza. La Scozia dovrebbe avere lo stesso status dell’Inghilterra e di qualsiasi altra nazione, in modo da avere anche le medesime possibilità di successo – proprio come ciascun individuo dovrebbe avere il massimo delle opportunità») a scrittori come Alasdair Gray, Iain Banks, all’attore Brian Cox. Per tutti una Scozia indipendente avrebbe la possibilità di uscire «dall’ombra» della Gran Bretagna e di proporsi come nazione con le stesse opportunità dell’Inghilterra. In altre parole, molti artisti ritengono che una Scozia indipendente garantirebbe l’emergere di un’arte e una cultura finalmente libere da quelle che considerano limitanti restrizioni dettate dall’essere parte del Regno unito. Quanto al Regno unito, è chiaro che se la Scozia diventasse indipendente, le cose potrebbero cambiare radicalmente, con il Galles oltre che l’Irlanda del Nord a rivendicare il diritto a decidere che futuro darsi. In termini politici di diritto il referendum restituisce ai cittadini il potere di decidere come organizzarsi, con chi unirsi o da chi separarsi. In termini pratici la Scozia ha al suo interno un dibattito molto interessante tra destra nazionalista, centro (più correttamente si dovrebbe dire che effettivamente lo Snp ha riempito il vuoto lasciato alla sinistra del centro dal Labour) come lo Scottish Nationalist Party, e sinistra. La sinistra è divisa sul referendum. Ma l’opinione prevalente è quella che sostiene il diritto all’autodeterminazione e quindi consegna ai cittadini l’ultima parola. Il dibattito si fa più interessante quando si tratta di capire e progettare una Scozia indipendente. Qui i nodi sono molti e non tutti possono essere sciolti così facilmente. La Scozia (e il Partito nazionalista scozzese) si è distinta in questi anni per aver presodecisioni opposte a quelle di Westminster. Per esempio rispetto allaguerra in Iraq, il governo scozzese ha sempre ribadito la sua contrarietà e continua a sostenere la necessità di far giudicare l’ex premier Tony Blair per crimini contro l’umanità. Lo Snpsi è rifiutato di introdurre le tasse per gli studenti scozzesi che entranoall’università e ha cancellato i contratti che di fatto davano al privato la gestione del servizio sanitario nazionale (Nhs), le Private Finance Initiative (PFI) e le Public Private Partnership (PPP) – anche se per correttezza bisogna dire che le PPP sono rientrate dalla finestra attraverso lo Scottish Futures Trust. Lo Snp ha mantenuto i servizi di assistenza agli anziani e il trasportopubblico gratuiti (erano stati introdotti dal Labour), ha introdotto ricette senza ticket e ha congelato per cinque anni le tasse urbane nei 32 consigli locali e continua a sostenere che una volta vinta l’indipendenza il programma di armi nucleari basato sui missili Trident verrà terminato. Il governo scozzese ha appoggiato l’aggressione Nato alla Libia. Salmond poi è tristemente famoso per aver ribadito che agli scozzesi non dispiacevano le politiche della Thatcher. La povertà tra i bambini è aumentata (oggi un bambino su quattro in Scozia è povero) sotto il governo del partito nazionalista che ha anche eliminato il riscaldamento gratuito (introdotto dal Labour) per gli anziani. Salmond non fa mistero di avere come modello (soprattutto economico) la Norvegia. Quello che non dice è se ha in mente di nazionalizzare il petrolio scozzese e altri settori chiave dell’economia, tassando i ricchi e le imprese. Difficile crederlo. Ma il problema alla fine non è neppure questo: in fondo lo Scottish Nationalist Party fa il suo mestiere, quello di partito di centro, un po’ spostato a sinistra. Il problema è che cosa fa la sinistra ? Che idea, che progetto di Scozia indipendente ha la sinistra? Per George Galloway, fuoriuscito dal Labour quando Blair decise l’invasione dell’Iraq e fondatore di Respect (è stato trionfalmente eletto deputato alle suppletive di Bradford un paio di settimane fa) «i nazionalisti scozzesi hanno fatto impallidire il Labour, assumendo posizioni molto più serie e di principio su questioni molto importanti». Galloway si dice «contrario all’indipendenza», ma – aggiunge – «mi rendo conto che con il partito nazionalist a nella posizione in cui si trova, raggiungere una vittoria del No è una missione impossibile». Quanto al suo no all’indipendenza, Galloway sostiene che «renderebbe più poveri i giovani di Bradford».

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