Questo si chiama giornalismo d'inchiesta?

Nella strage di Brindisi due cose, nonostante i tanti dubbi, restano certe: l'orrore e lo sciacallaggio dei media. Di come appena accaduto il fatto fosse iniziato il solito e inutile rovistare nella vita della povera Melissa ha scritto benissimo la nostra Laura Eduati (leggi qui). Ma alla sua invettiva contro i media mancava ancora un capitolo, anche questo immancabile. Si chiama “sbatti il mostro in prima pagina”.

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Brindisi, Ruotolo sbatte il mostro su twitter

Questo si chiama giornalismo d’inchiesta?

Nella strage di Brindisi due cose, nonostante i tanti dubbi, restano certe: l’orrore e lo sciacallaggio dei media. Di come appena accaduto il fatto fosse iniziato il solito e inutile rovistare nella vita della povera Melissa ha scritto benissimo la nostra Laura Eduati (leggi qui). Ma alla sua invettiva contro i media mancava ancora un capitolo, anche questo immancabile. Si chiama “sbatti il mostro in prima pagina”.

Questo si chiama giornalismo d’inchiesta?

Nella strage di Brindisi due cose, nonostante i tanti dubbi, restano certe: l’orrore e lo sciacallaggio dei media. Di come appena accaduto il fatto fosse iniziato il solito e inutile rovistare nella vita della povera Melissa ha scritto benissimo la nostra Laura Eduati (leggi qui). Ma alla sua invettiva contro i media mancava ancora un capitolo, anche questo immancabile. Si chiama “sbatti il mostro in prima pagina”.

E da anni sta diventando un vero e proprio sport nazionale che oltre a arrecare danno alle persone prese di mira, rovinando loro la vita, fa un danno alle indagini. I processi mediatici, ormai è un fatto, impediscono sempre più spesso l’accertamento di come siano andati davvero i fatti. Possiamo citare Cogne, Garlasco, Perugia e non ultimo il caso della giovane Sara.

Poteva quindi mancare questo triste spettacolo anche nel caso di Brindisi? No, di certo. Con i media alle calcagna, gli investigatori, peraltro bloccati anche da uno scontro tra procure, hanno dovuto in fretta e furia trovare un colpevole. Qualcuno da dare in pasto ai giornalisti. La fretta però non porta mai buoni consigli. E così che due fratelli sono stati fermati e interrogati. Uno dei due avrebbe potuto essere l’attentatore che tutta l’Italia vuole vedere in faccia. I sospetti sono via via diventati dubbi. E i due fratelli sono stati rilasciati. Gli inquirenti, secondo noi condizionati dalla pressione dei giornalisti, hanno comunque fatto il loro lavoro. Chi non ha fatto il proprio lavoro sono i media. O perlomeno alcuni protagonisti dell’informazione, che non ci hanno pensato su e hanno scritto nome e cognome del mostro, ne hanno mostrato il volto. Tra questi spicca il nome di Sandro Ruotolo. Sì, proprio lui. Giornalista dal 1974 come recita il suo profilo su Twitter, giornalista di punta di Servizio Pubblico.

Che ha fatto Ruotolo? Mentre ancora gli investigatori interrogavano il presuntissimo colpevole, lui ne dava le generalità su twitter. Ecco i suoi tweet seguiti da circa 40mila persone (omettiamo intenzionalmente i nomi che invece Ruotolo ha scritto per esteso). Primo: “Il cognome sarebbe S****. Il sospettato si chiamerebbe C****. Il fratello che sarebbe in questura M”. Poi a seguire: “Quartiere popolare. Lui mano offesa. Vive con fratello e signora. All’ultimo piano di un palazzo. Edilizia popolare”. Subito dopo mostra la foto della casa. “Abita qui il sospettato della strage di Brindisi”. “Ho fatto vedere il volto scoperto dell’uomo che aziona il telecomando ad un suo vicino di casa che titubante: sì può essere lui”. Dopo due ore: “I due fratelli S**** sono in questura”. “Stanno verificando l’alibi del sospettato”. Poi, dopo quasi sei ore: “Prima l’ex militare, ora l’uomo con la mano offesa. Dopo i riscontri, i sospetti tornano liberi. Non ci sono indagati per ora”.

Abbiamo riportato i suoi twitter per capire che cosa ne pensate. Noi pensiamo che questo modo di fare informazione sia scandaloso. Sia sciacallaggio puro. Dare le generalità di una persona sospettata, mentre la folla assediata la questura, è una istigazione alla violenza. È mettere la vita di qualcuno, forse un probabile innocente, nella mani della gogna pubblica. Vogliamo capire davanti a questo ulteriore episodio che cosa voglia dire fare informazione. Vogliamo capire soprattutto se in questo Paese esista ancora uno Stato di diritto o se siamo in balia dell’informazione forcaiola. Vogliamo in ultimo sapere che cosa dicono di tutto questo la Federazione nazionale della stampa e l’Ordine dei giornalisti: staranno zitti anche questa volta?

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