Astensionismo. Se il partito del non voto diventa maggioranza

Il record raggiunto alle ultime amministrative in un paese dove l’affluenza alle urne è invece sempre stata altissima fa discutere sullo stato di salute della democrazia italiana. Il rancore di chi pensa che rimane solo questo mezzo per protestare contro i partiti ormai screditati e le istituzioni barcollanti. Un vuoto politico pauroso che presto sarà  riempito da poteri che ancora non si vedono, ma sono già  pronti a entrare in scena 

Il record raggiunto alle ultime amministrative in un paese dove l’affluenza alle urne è invece sempre stata altissima fa discutere sullo stato di salute della democrazia italiana. Il rancore di chi pensa che rimane solo questo mezzo per protestare contro i partiti ormai screditati e le istituzioni barcollanti. Un vuoto politico pauroso che presto sarà  riempito da poteri che ancora non si vedono, ma sono già  pronti a entrare in scena 

Esiste anche una politica dell´astensione. Di astensioni è piena la storia, infatti; di secessioni, defezioni, emigrazioni, fughe: cioè di atti deliberati di abbandono del campo, per proseguire la partita altrove – o per cambiare profondamente le regole di quella in corso –. Alle logiche-chiave della politica, inclusione ed esclusione, subordinazione e uguaglianza, particolarismo e universalismo, si può quindi aggiungere anche l´allontanamento, nelle sue varie forme. La politica di chi non ci sta, di quelli che si chiamano fuori.
E sono stati molti, anche senza risalire alla plebe romana che secede sull´Aventino, o ai puritani che si imbarcano sul Mayflower verso il Nuovo Mondo. Sono stati, per rimanere a tempi e a modi a noi vicini, coloro che hanno disertato le urne delle democrazie rappresentative per i più svariati motivi. Per ostilità ideologica, come gli anarchici, che si sono fatti, e si fanno, un punto d´onore di boicottare le elezioni, cioè l´evento attraverso il quale, secondo loro, il sistema del potere attrae a sé i cittadini, e li rende suoi schiavi e suoi complici; o come i cattolici che attraverso la pratica del “né eletti né elettori” rifiutavano il loro consenso al neonato Stato italiano, reo di avere leso i diritti del papa-re; o come i socialisti che davanti alla prima guerra mondiale si misero nella posizione del “non aderire, non sabotare”.
Ma l´astensione dalla politica attiva è stata motivata da forme di distacco ancora più profonde, cioè non solo dall´estraneità a uno specifico assetto istituzionale ma alle logiche stesse del politico. Di questa estraneità partecipano in generale le società ricche, affluenti, i cui cittadini si sono a tal punto intossicati con il consumo di beni materiali da non avere più motivazioni a prendere parte attiva alla politica: un disinteresse da bulimia, insomma, un´accidia derivante da un peccato di gola. Nelle democrazie occidentali ben funzionanti è da tempo fisiologico che l´astensione elettorale sia alta; la massa accudita e gratificata è più soggetta all´inerzia e all´apatia che capace di energia e di dinamismo.
Ancora diversa è l´astensione di chi fa proprio il motto “I would prefer not to”, “avrei preferenza di no”, con cui lo scrivano Bartleby, immaginato da Melville, si sottrae al lavoro, alla responsabilità, e infine al suo tempo, in una sommessa ma ferma prefigurazione americana dell´impoliticismo tedesco di Thomas Mann. E c´è, infine, l´astensione rancorosa di chi pensa di avere solo questo mezzo per protestare contro i partiti screditati e contro le istituzioni barcollanti; di chi, cioè, ha fame di politica ma non trova pane per i suoi denti, e si lascia sfinire per debolezza, fino a quando qualcuno cucinerà il manicaretto che stuzzicherà nuovamente l´appetito a questo elettorato volatile e fluttuante, in momentaneo sciopero della fame. Insomma, le ragioni dell´exit, della defezione vanno dall´apatia per sazietà al digiuno per mancanza di cibo, dall´ascetismo virtuoso all´antagonismo variamente motivato. E soprattutto – è il caso italiano – alla protesta sterile, sostanzialmente irresponsabile.
Dopo avere a lungo virtuosamente esibito alte percentuali di affluenza alle urne – soltanto dopo il 1993 il voto è stato definito solo un diritto, mentre in precedenza era anche un dovere – l´Italia, infatti, registra oggi improvvisamente un tasso record di astensionismo, accelerando drammaticamente rispetto al trend occidentale. La critica alla politica – ai partiti, al ceto politico – si è trasformata in disinteresse di massa, in qualunquismo diffuso. Davanti a questo dato c´è da chiedersi se l´astensione, in Italia, è ancora una politica, o almeno una richiesta di politica, o se non è piuttosto il segno dell´esaurirsi della percezione della necessità della politica. Il quesito è legittimo, nel momento in cui l´astensione nel nostro Paese non è più l´esilio, interno o esterno, a cui si consegna una minoranza, anche consistente, ma è la fine di ogni lealtà politica, la defezione di massa e la muta passiva protesta di una (quasi) maggioranza silenziosa che si sottrae allo spazio politico in quanto tale, facendo così collassare, in prospettiva, l´intero sistema politico. È questa fuga dalla politica la vera antipolitica: non un Gran rifiuto, né un gesto di sfida, ma la scrollata di spalle di chi – in preda a ben più gravi preoccupazioni – liquida come irrilevante la dimensione stessa della politica, delle istituzioni, della vita in comune. In Italia l´astensionismo è la crisi della democrazia, che si somma alla crisi dell´economia: una società frantumata che – avendo sperimentato solo cattiva politica – non crede più di aver bisogno di politica.
Ma se questa astensione è davvero un´astinenza totale dalla politica, se non prepara né una nuova forma di presenza né una richiesta di nuova rappresentanza, se siamo di fronte a un´inerte implosione e non a un´esplosione, allora si deve dire chiaramente che è ingenuo e irresponsabile pensare di sottrarsi dalla politica – che in ogni caso si ripresenta inesorabilmente, come puro potere del più forte –, e che una società senza politica è una società fantasma, che abdica a se stessa, che rinuncia alla propria libertà, o alla propria liberazione. Non esiste una democrazia dell´assenza: questo vuoto politico pauroso sarà presto riempito, probabilmente da poteri che non si vedono ancora ma che certamente si presenteranno sulla scena. Molto presto, insomma, l´Italia sarà messa davanti a queste ipotesi: o la massa astensionistica potrà scegliere offerte convincenti di nuova politica, o sarà capace di immaginare da sé nuove ragioni di politica, o continuerà a costituire la minacciosa e incontrollabile zavorra della politica futura, materia passiva di nuove avventure, presumibilmente sfortunate.

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