BLACK BLOCK . Ha fatto oltre il 6% di share, ed è un buon risultato considerando l’orario, le 23.45 di domenica, in cui Rai3 lo ha mandato in onda. E ci sarebbe, anzi c’è da arrabbiarsi di fronte al fatto che un film come Black Block, sia stato celato nel palinsesto di una rete pubblica, perciò al servizio del cittadino. Ma conoscendo le dinamiche Rai, questa messa in onda, è stata invece una conquista, frutto sicuramente di un grande lavoro da parte di chi ne ha acquistato i diritti tv, perché la programmazione della rete pubblica un film come quello di Carlo A. Bachschmidt è davvero un’anomalia, e sempre di più negli anni recenti.
BLACK BLOCK . Ha fatto oltre il 6% di share, ed è un buon risultato considerando l’orario, le 23.45 di domenica, in cui Rai3 lo ha mandato in onda. E ci sarebbe, anzi c’è da arrabbiarsi di fronte al fatto che un film come Black Block, sia stato celato nel palinsesto di una rete pubblica, perciò al servizio del cittadino. Ma conoscendo le dinamiche Rai, questa messa in onda, è stata invece una conquista, frutto sicuramente di un grande lavoro da parte di chi ne ha acquistato i diritti tv, perché la programmazione della rete pubblica un film come quello di Carlo A. Bachschmidt è davvero un’anomalia, e sempre di più negli anni recenti.
Perché Black Block, all’ultima Mostra del cinema di Venezia, nel controcampo italiano, senza la protezione della finzione narrativa utilizzata da Diaz di Vicari – il quale ha spesso detto di avere lavorato sulle storie raccontate dai suoi protagonisti – mette a nudo la violenza di Genova, della Diaz, di Bolzaneto in modo ancora più implacabile. I racconti di Muli, la voce narrante, di Lena, e degli altri ragazzi, tutti non italiani, tutti massacrati dai poliziotti italiani nella scuola sede del Social Forum, tutti portati a Bolzaneto, rinchiusi in cella senza diritti, neppure un avvocato o una telefonata alle famiglie, umiliati, torturati, che per anni hanno dovuto curare questo trauma feroce, ci mettono davanti agli occhi ogni secondo di quella violenza delle istituzioni, ogni colpo, calcio, pugno, anche se non vediamo nulla. O forse proprio per questo, per questa assenza di immagini «ricostruite» e per la presenza forte di vissuto, siamo costretti a vedere.
Fa male ascoltare Lena, seduta su una vecchia sedia di scuola, descrivere con una precisione terribile ogni singolo colpo sul suo corpo. Le costole che si frantumano, il sangue in faccia, i calci sul viso, il tonfa che colpisce selvaggio. E poi giù, tirata per i capelli come un trofeo, trascinata sulle scale, rotta e sempre più devastata. Botte, botte, insulti. La paura di respirare, il dolore. Nessun governo li reclama indietro, nessuno lotta se non le famiglie per loro. Sono già stati bollati, dai media, e rispediti dopo giorni di orrore – «Certe cose pensavo che accadessero solo nei film sulle dittature in Argentina» dice a un certo punto Muli – a casa, bollati come indesiderati in Italia. Torneranno per il processo, dopo anni di incubi.
«Sono contento che il film sia andato in onda, nonostante l’orario, per le parti offese, e per il progetto G8 di Fandango. In questo modo si torna a parlare del G8, le persone possono ricordare e chi non ne sapeva nulla scopre cosa è accaduto» dice Carlo A. Bachschmidt. In questi giorni sta girando per l’Italia, anche con Diaz, il film di Vicari, e le persone che incontrano, i più giovani soprattutto vogliono sapere. «C’è molta richiesta di contestualizzare rispetto alle questioni attuali, vogliono capire cosa è cambiato rispetto a dieci anni fa. E questo al di là dei problemi di responsabilità politica, al fatto che il governo per dieci anni abbia continuato a tacere e a difendere i responsabili. Ai ragazzi interessa capire quel movimento che riusciva a tenere insieme tanti soggetti diversi, con un progetto che andava al di là del G8 e che la repressione ha distrutto. Oggi le lotte hanno un aspetto più legato al territorio, per me il riferimento adesso è il movimento No Tav».
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