Colombia /LA SESTA «CUMBRE DE LAS AMà‰RICAS»
Con l’ostinato, e ridicolo, ostracismo contro Cuba, ancora una volta «non invitata» per il veto Usa (che non ha invece alcuna riserva sulla presenza dell’Honduras golpista); con l’uscita di scena del carismatico brasiliano Lula da Silva e l’incerto arrivo del venezuelano Hugo Chavez (impegnato in una dura lotta per la vita contro il cancro), la sesta «Cumbre de las Américas» di oggi e domani a Cartagena de Indias, la perla colombiana dei Caraibi, potrà contare solo su due star ad alto impatto mediatico.
Colombia /LA SESTA «CUMBRE DE LAS AMà‰RICAS»
Con l’ostinato, e ridicolo, ostracismo contro Cuba, ancora una volta «non invitata» per il veto Usa (che non ha invece alcuna riserva sulla presenza dell’Honduras golpista); con l’uscita di scena del carismatico brasiliano Lula da Silva e l’incerto arrivo del venezuelano Hugo Chavez (impegnato in una dura lotta per la vita contro il cancro), la sesta «Cumbre de las Américas» di oggi e domani a Cartagena de Indias, la perla colombiana dei Caraibi, potrà contare solo su due star ad alto impatto mediatico.
Barack Obama, che farà la sua bella mostra sfoggiando una guayabera alla Garcia Marquez nell’immancabile photo-opportunity dei 32 capi di stato e di governo (su 34, oltre a Cuba mancherà anche l’ecuadoriano Rafael Correa, in segno di protesta per l’esclusione cubana), e che, per la gioia del governo del presidente Juan Manuel Santos, sarà il primo presidente degli Stati uniti a dormire in territorio colombiano – e forse non per una sola ma per due notti – , segno inconfutabile di fiducia e apprezzamento per la «nuova» Colombia post-Uribe. E Shakira, la sensuale pop star nata non lontano da Cartagena, nel turbolento porto caraibico di Barranquilla, che dovrebbe cantare l’inno colombiano nel tentativo improbabile non tanto di ripetere l’hit del “Waka Waka” che accompagnò ossessivamente i mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica, ma di ricalcare le orme della povera Whitney Houston nella sua memorabile interpretazione dell’inno Usa e dare una scossa agli inni dei paesi dell’America latina, in generale note noiosissime e parole ancor più mortifere (alla «Fratelli d’Italia», per intendersi).
Però. Però il Vertice delle Americhe di Cartagena potrebbe – forse. chissà – anche essere qualcosa d’altro oltre alla solita e vaga sfilata dei temi in agenda da elencare nel documento finale (e rinviare al prossimo summit). Perché oltre a integrazione, commercio, democrazia, energia, accesso alle tecnologie, disastri naturali, sicurezza, riduzione della povertà e diseguaglianze, sul tavolo ci saranno anche immigrazione, Cuba e droga.
Punti dolenti per tutti ma soprattutto per Obama, impegnato nell’anno elettorale.
Il precedente Vertice delle Americhe, il quinto da quello iniziale convocato da Bill Clinton a Miami nel ’94, fu nel 2009 a Trinidad e Tobago. Obama era stato appena eletto e si era presentato a Port of Spain con uno dei suoi bei discorsi (sfortunatamente il più delle volte senza effetti pratici), quello del “new beginning” nei rapporti (nefasti) Usa-America latina. Il «nuovo inizio» è rimasto un bel discorso vuoto: l’immigrazione, il blocco (osceno) contro Cuba, la guerra contro droga, tutto come prima, peggio di prima. Perché se la Colombia di Uribe e Santos, primo produttore ed esportatore di coca al mondo, sembra aver perso il primato, il «successo» lo sta pagando il Messico, diventato il nuovo narco-stato, 50 mila morti nei 5 anni della «guerra ai narcos» proclamata dal presidente Felipe Calderon, tremila km di confine comune con gli Stati uniti.
Chiunque, dai produttori storici – Colombia, Bolivia, Perù – ai consumatori – in primis gli Usa, il più famelico mercato del mondo -, si rende conto che «la guerra alla droga» così come fu presentata e lanciata da Richard Nixon 40 anni fa è stata un fiasco assoluto, anche se si è rivelata un efficace strumento di controllo politico sui paesi dell’America latina ed è riuscita a tenere il fuoco dello scontro lontano dagli Stati uniti. Ma ora con il Messico ridotto com’è ridotto, non è più così e davvero la «guerra alla droga» è diventata un problema reale per «la sicurezza nazionale» degli Usa. Quindi l’ipotesi di una «regolazione» se non proprio di una «legalizzazione» degli stupefacenti – marijuana prima di tutto, «ma non solo» -, della fine del «proibizionismo» e di una loro «depenalizzazione» si è fatta più impellente e concreta.
Questo è diventato un cavallo di battaglia – vitale – per la Colombia di Santos, per il Messico (del successore di Calderon che sarà eletto a luglio) e anche per i paesi del Centramerica, investiti in pieno dall’onda d’urto del narco-traffico. La novità è che per la prima volta la risposta di Washington non è stata un no secco a priori. “Il presidente Obama resta contrario alla depenalizzazione, ma crede che discuterne sia legittimo”, ha detto Dan Restrepo, il suo principale consigliere sull’America latina. Se la proposta di Santos passerà nel vertice di Cartagena, la soluzione potrebbe essere la creazione di un gruppo di lavoro incaricato di studiare i “possibili scenari” e presentare i risultati entro un anno all’Onu.
Si vedrà se il sesto “Vertice delle Americhe” si risolverà solo in una foto di gruppo su sfondo caraibico fra molto fumo – l’ipotesi più probabile – o, almeno nel capitolo droga, ci sarà anche un po’ di arrosto.
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