Lucia e le altre così nel 1943 decisero da sole

     Luciana che partorisce in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l’Abruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare; Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera;

     Luciana che partorisce in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l’Abruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare; Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera; Zita, la mondina di Cavriago che ha il fratello partigiano e il fidanzato nell´esercito repubblichino; e ancora la confinata Cesira, Lela che comanda le ausiliarie di Salò nel Veneto; Carla che durante tutta la guerra fa la postina aspettando il ritorno del marito; Lucia che impara a guidare il tram a Milano e il marito non lo aspetta più; la Biki che continua imperterrita a preparare le sue collezioni di abiti da sera…: queste e tante altre sono le donne che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui a un certo punto ho avuto la voglia di scrivere la storia.
Alla fine non ho scritto la storia di una soltanto di loro, benché per ognuna ce ne fosse abbondante materia e possibilità. Ho tentato invece di scrivere la storia di tutte queste donne insieme, attraverso gli anni che vanno dal 1940 al 1945: gli anni cioè del secondo conflitto mondiale.
Mi aveva sempre colpito il fatto che, parlando di quel periodo, Carla e Lucia, Marisa e Luciana, Lela e Cesira dicessero a un certo punto, come sovrappensiero: «… però, in fondo, è stato bello».
Un´affermazione curiosa, imprevedibile, se si pensa che gli avvenimenti ai quali si riferivano sono stati certamente tra i più tragici della nostra storia e della loro vita. Quell´affermazione doveva essere precisata e chiarita.
«… però, è stato bello»: forse perché sia pure tra le difficoltà e le tensioni della vita quotidiana, ognuna di loro – anzi potrei dire ognuna di noi – dovette imparare in quegli anni a decidere da sola, senza l´aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati, «… però, è stato bello»: forse perché ognuna di noi divenne, nel pericolo e nella misera, più padrona di se stessa. (…)
La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse; le obbligano a uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di «moglie e madre esemplare». Questa uscita dal ruolo non avviene sempre coscientemente. In molti casi, al contrario, si giustifica proprio col desiderio di mantenere fede fino in fondo a una tradizionale immagine di sé. Ma, una volta vissuta, la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l´esistenza e la possibilità di percorsi individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati in passato.
Tratto da “Pane nero” pubblicato prima da Mondadori poi da Ediesse

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