Lo scandalo è la guerra

ISRAELE/CASO GàœNTER GRASS
Che meraviglia. Grazie a una lunga poesia di Günter Grass finalmente possiamo discutere se gli israeliani vogliono liquidare l’Iran, o sterminarli tutti – e possiamo discutere del servizio prestato, da dolescente, alle SS naziste dall’autore di quel testo, dell’antisemitismo di chi scrive una poesia-provocazione, e avanti così.
Possiamo fare tutto ciò.

ISRAELE/CASO GàœNTER GRASS
Che meraviglia. Grazie a una lunga poesia di Günter Grass finalmente possiamo discutere se gli israeliani vogliono liquidare l’Iran, o sterminarli tutti – e possiamo discutere del servizio prestato, da dolescente, alle SS naziste dall’autore di quel testo, dell’antisemitismo di chi scrive una poesia-provocazione, e avanti così.
Possiamo fare tutto ciò. O forse dovremmo tornare ad alcune questioni fondamentali e irrisolte, questioni difficili da affrontare in un mondo dominato dall’isteria antimusulmana in occidente, dai presunti doveri dell’Europa verso il suo passato, e dalla perdurante assenza di una risposta forte alla questione fondamentale del Medio oriente: la pace israelo-palestinese.
In un’interessante intervista pubblicata in Germania, il noto pacifista Ekkehart Krippendorf si chiede perché Grass non abbia firmato l’appello lanciato pochi giorni prima da numerosi intellettuali tedeschi a favore del disarmo atomico dell’intera regione mediorientale. Krippendorf e gli altri ntellettuali chiedono di discutere della questione di fondo, invece di discutere di Grass.
Con la sua contestata poesia, Grass provoca una discussione necessaria su un punto urgente: neutralizzare le armi atomiche, cosa che richiede mettere fine al monopolio israeliano in materia di armi nucleari. La questione non è semplice, perché rimanda a una questione ancora più fondamentale: gli Stati uniti, la Gran Bretagna e l’intera Unione europea appoggiano senza riserve la politica di Israele, e non solo riguardo la politica atomica. Per la verità gli americani hanno cercato, in certi momenti, di mettere dei limiti a Israele ma la cosa è sempre stata soggetta alle alterne vicende dei governi israeliani e dell’egemonia occidentale nella regione.
La questione non è semplice anche perché il fondamentalismo iraniano, soprattutto quando si esprime attraverso le demenziali minacce di sterminio del presidente Mahmoud Ahmadi Nejad, non ha trovato una risposta seria da parte del pacifismo europeo, che a volte è manicheo in modo infantile quando si tratta di Israele o dell’Islam o degli arabi, con un «tutti buoni-tutti cattivi» che spesso nasconde residui di un razzismo che sembrava finito. Sì, il pacifismo europeo dovrebbe esprimersi in modo chiaro e convincente anche quando si tratta dell’Iran o dei massacri compiuti dal presidente siriano Bashar al Assad.
La questione non è semplice inoltre perché nei decenni i diversi governi di Israele sono riusciti a delegittimare qualunque critica alla politica israeliana. La manipolazione propagandistica delle colpe reali del nazismo e del fascismo è servita a far tacere le gravi critiche, legittime e necessarie per evitare la catastrofe a cui ci stanno portando i governanti israeliani. In particolare dopo l’11 settembre 2001, è la politica della paura che governa. Settori estremisti del fondamentalismo islamico – con settori iraniani attivi in materia – sono funzionali all’isteria generale orchestrata da Stati uniti, Gran Bretagna, Germania e Israele.
Ma il pericolo più grave per Israele oggi non viene dall’eventualità che l’Iran costruisca una bomba atomica. Il vero pericolo oggi sta in un governo israeliano di carattere messianico-fondamentalista che, se riuscirà ad agire militarmente, farà sprofondare l’intera regione in una voragine di fuoco.
Il «caso Grass» non ci faccia dimenticare l’urgenza di trovare una soluzione alla questione israelo-palestinese, che è il cuore del problema. Conviene ricordare che un’azione militare – sia israeliana o occidentale – contro l’Iran sarebbe una ricetta sicura per una tragedia di dimensioni maggiori di quella provocata dagli attacchi americani-europei in Iraq o in Afghanistan.

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