La ferita sempre aperta di una memoria cancellata

ASPETTANDO IL 25 APRILE. «Furono oltre quarantamila gli italiani che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimidazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l’affetto dei compagni d’arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue – non è retorica il dirlo – le infamie dell’aggressione e della repressione fascista».

ASPETTANDO IL 25 APRILE. «Furono oltre quarantamila gli italiani che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimidazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l’affetto dei compagni d’arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue – non è retorica il dirlo – le infamie dell’aggressione e della repressione fascista». È la promessa, assolutamente mantenuta, dei temi del libro di Giacomo scotti «Bono taliano» (Odradek, pagg. 253, 20 euro) che, sulla base di documentazioni di prima mano dagli archivi sia italiani che jugoslavi, arriva a dimostrare fatti finora inediti alla pubblicistica ufficiale. E cioè che già prima dell’8 settembre 1943 più di mille italiani avevano disertato dalle fila dell’esrcito di occupazione in Jugoslavia e volontariamente erano passati in quelle della Resistenza jugoslava dei partigiani di Tito, oppure disobbedendo agli ordini di rappresaglia e repressione nazifascista. Insomma furono loro, in ordine di tempo, ricorda Giacomo Scotti, i primi partigiani italiani. E insieme a queste scoperte, lo scavo ancora una volta e come non mai necessario, sulla tragedia rappresentata dalle truppe d’occupazione in Jugoslavia. Quella che «Il giorno del ricordo» volutamente «non ricorda». Parliamo delle perdute umane subite dalla Jugoslavia in seguito all’occupazione di tedeschi, italiani, ungheresi e bulgari: furono un milione e e 706 mila morti, pari al 10,8% della popolazione presente nel 1941, dei quali oltre 400.000 nei territori occupati o annessi dagli italiani. In questi territori si ebbe la distruzione del 25% delle abitazioni. nel volume «Il crollo del regno di Jugoslavia» lo storico Velimir Terzic calcolò che le persone uccise, vittime dell’occupazione italiana, furono 437.395. Una cifra che si avvicinava a quella ufficiale presentata dal governo di Belgrado alla conferenza di pace. Ma nessuno dei generali criminali di guerra, Mario Roatta, Mario Robottii, Gastone Gambara, Taddeo Orlando, il governatore del Montenegro Pirzio Biroli e altri 700 responsabili, pagò mai per le fucilazioni di partigiani e i massacri di civili, per gli stupri di massa sulle donne. Anzi no, ricorda Scotti: il tenente delle Camicie nere Luigi Serrentino venne fucilato nel 1947. Ma in occasione della Giornata del Ricordo del 2007, il presidente Napolitano gli assegnò la Medaglia alla memoria come «vittima delle foibe». (t. d. f.)

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