L’anticipazione / Sul nuovo “Reset” lo studioso francese propone alcune idee per superare la prospettiva del “qui e ora” dei sistemi di governo.
SOLUZIONI CONTRO LA POLITICA A “BREVE TERMINE”
L’anticipazione / Sul nuovo “Reset” lo studioso francese propone alcune idee per superare la prospettiva del “qui e ora” dei sistemi di governo.
SOLUZIONI CONTRO LA POLITICA A “BREVE TERMINE”
I regimi democratici riescono con molta difficoltà a inserire considerazioni di lungo periodo nel loro funzionamento. E questa difficoltà diventa preoccupante quando le problematiche relative all’ambiente e al clima ci costringono a rivedere in termini nuovi i nostri obblighi nei confronti delle future generazioni.
Questo problema – uno storico deve sottolinearlo in prima battuta – non è nuovo. Sin dagli albori della Rivoluzione francese Condorcet poneva l’attenzione sui pericoli di quella che chiamava una «democrazia immediata». Il filosofo temeva in particolare che la gestione delle finanze pubbliche fosse dominata dagli ondeggiamenti di un’azione finalizzata alla pura quotidianità; invitava, di conseguenza, a sottrarre la gestione delle finanze pubbliche all’influenza del potere esecutivo. Una sorta di «preferenza per il presente» sembra effettivamente caratterizzare l’orizzonte politico delle democrazie. La spiegazione può essere individuata in motivi strutturali, che dipendono ovviamente da comportamenti determinati dai ritmi elettorali e dalle impellenze dei sondaggi. La corsa affannosa al breve termine è in primo luogo figlia delle condizioni in cui viene esercitata la lotta per il potere. Diventa quindi ovvio contrapporre gli ideali tipici del «politico», che si preoccuperebbe solo della prossima scadenza elettorale, a quelli dell’«uomo di Stato» che avrebbe lo sguardo teso verso un orizzonte più lontano.
Tuttavia le cose sono più complesse. La miopia delle democrazie ha cause strutturali. Ricordiamo in primo luogo che le stesse hanno potuto farsi strada solo dopo essersi affrancate dai vincoli della tradizione, aver lottato per la legittimazione dei «diritti del presente», ed essersi liberate dalla prigione di una temporalità predeterminata. «La terra appartiene ai vivi» diceva con fermezza Jefferson per contestare l’idea di una costrizione preventiva dell’espressione della volontà generale in funzione di una ragione più ampia. «È assurdo che la volontà assegni a se stessa dei vincoli per il futuro»: la celebre formula del Contratto sociale è stata fondante per le democrazie moderne. Nel mondo post-rivoluzionario di oggi nessuna religione secolare è capace di attribuire significato all’azione collettiva facendo prioritariamente riferimento a una speranza lontana. Lo specifico delle religioni, notava Tocqueville, sta nel fatto che «abituano a comportamenti orientati a una prospettiva futura». In passato, il lungo periodo era in effetti sempre associato all’idea di salvezza. Gli imperativi della secolarizzazione e quelli di un’espressione autonoma della volontà generale si sono così sovrapposti per delimitare l’orizzonte temporale delle democrazie. Per correggere le tendenze «naturali» al breve termine si potrebbero prendere in considerazione quattro tipi di provvedimenti o di istituzioni: introdurre principi ecologici nell’ordine costituzionale; rafforzare ed estendere la definizione patrimoniale dello Stato; costituire una grande «Accademia del futuro»; istituire dei forum pubblici che mobilitino l’attenzione e la partecipazione dei cittadini.
Questa pluralità di espressione delle problematiche sul lungo periodo potrebbero consentirne una difesa più efficace di quanto non possa fare un ipotetico bicameralismo. I limiti del principio rappresentativo potranno essere superati attraverso una sua decomposizione e una mise en abyme. La democrazia si evolve attraverso un processo di complessificazione e diventando più riflessiva.
In primo luogo è necessario inserire la dimensione ecologica nell’ordine costituzionale. È la cosa più ovvia. In effetti, le costituzioni custodiscono strutturalmente la memoria dei principi organizzatori della vita comune, e costringono le assemblee parlamentari e il potere esecutivo a rispettarli. Esse vigilano quindi sui diritti dell’uomo e sullo spirito delle istituzioni. Dal canto suo, l’esistenza di uno Stato forte ha sempre rappresentato una difesa contro l’approccio a breve termine. Già sotto la monarchia si distingueva tra la proprietà reale, ovvero i beni della corona, di cui lo stesso re non poteva liberamente disporre perché formavano lo zoccolo materiale di una potenza pubblica atemporale, e i beni personali del sovrano. La nozione di Stato ha solo modernizzato l’idea di un dato trans-storico nella vita politica. Nel XIX secolo, anche i liberali insistevano su questa dimensione.
Gli stessi che difendevano l’idea di un potere pubblico ai livelli minimi riconoscevano la centralità della sua dimensione istitutiva della società. «Lo Stato è il rappresentante della perpetuità sociale, diceva ad esempio Paul Leroy-Beaulieu.
Ha l’obbligo di operare affinché le condizioni generali di esistenza della nazione non si deteriorino; questoè il minimo; ancora meglio sarebbe che operasse nel senso del loro miglioramento». Oggi consideriamo soprattutto lo Stato nel suo ruolo regolatore.
È tuttavia di vitale importanza recuperare la sua funzione di mantenimento delle condizioni della vita in comune.
Non è possibile rafforzare la preoccupazione sul lungo termine senza una forte funzione pubblica che agisca in questa direzione. È necessario dare alla nozione di patrimonio un significato attivo, prospettico, ecologico. Pensiamo a ciò che Littré diceva della Repubblica: «Essa è il regime che consente al tempo di mantenere la sua giusta prevalenza». Anche la formazione di una «Accademia del futuro» potrebbe svolgere un ruolo essenziale. Formata da scienziati, filosofi, esperti riconosciuti e rappresentanti delle principali associazioni operanti nel settore ecologico, potrebbe essere sistematicamente consultata su tematiche di competenzae formulare riflessioni pubbliche sulle quali i governanti sarebbero chiamati a prendere posizione. Si ritroverebbe in questo modo l’idea originale di Accademia: quella di un corpo al servizio della società, che esercita la doppia funzione di vigilanza e di anticipazione.
Nel loro caso svolgere una funzione di rappresentanza non significa disporre di una delega, ma contribuire a rendere più intelligibile e più sensibile la complessità del mondo, in modo tale che la preoccupazione del lungo termine sia costantemente in evidenza. Un’Accademia di questa natura dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel lancio di «forum del futuro» che consentano ai cittadini di appropriarsi di questi temi. La formalizzazione e la «drammatizzazione» di alcuni di questi forum potrebbe attivare il dibattito pubblico nel momento in cui si debba addivenire alla determinazione di grandi orientamenti su scelte politiche o nell’ambito di negoziati internazionali.
Un ampliamento di questo genere della coscienza di cittadinanza è di fondamentale importanza. Per uscire dalla miopia democratica è assolutamente necessario chei cittadini diventino essi stessi difensori di una coscienza allargata del mondo. Nel XIX secolo, i progressi dell’educazione hanno rappresentato una delle matrici essenziali del consolidamento democratico. Nel XXI secolo la presa di coscienza sociale della necessità di un nuovo orizzonte temporale della ragione pubblica costituirà il vettore di un approfondimento dell’idea democratica.
Quando i cittadini avranno modificato i loro pensieri nel senso di una capacità di anticipazione, la loro visione si troverà in sintonia con la piena consapevolezza di un’esistenza a misura dell’umanità.
(Traduzione di Silvana Mazzoni)
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