Il movimento internazionale nato dalla Rivoluzione d’Ottobre in un volume di Silvio Pons che va dal 1917 alla fine dell’Urss. Rivolgimento in un solo Paese che infiammò milioni di uomini, generò grandi tragedie e fu un immenso campo geopolitico
Il movimento internazionale nato dalla Rivoluzione d’Ottobre in un volume di Silvio Pons che va dal 1917 alla fine dell’Urss. Rivolgimento in un solo Paese che infiammò milioni di uomini, generò grandi tragedie e fu un immenso campo geopolitico
Per una volta il titolo è anche il fulcro del libro, ed ha la doppia valenza di illustrare la ragion d’essere del soggetto il movimento comunista mondiale e di interpretare le cause del suo percorso storico. Perché di rivoluzioni globali qui ce ne sono due, di segno opposto e incompatibili, ancorché reciprocamente compenetrate. È nella loro dialettica che risiede la chiave di volta di questa rilettura originale e stimolante di un fenomeno che ora può essere finalmente ripensato a debita distanza dai paradigmi e paraocchi che esso stesso aveva generato.
Il baricentro del libro, forse la sua stessa scintilla originaria, sta in un paradosso. Alla metà del Novecento l’Urss ascende a colosso strategico, epicentro di un vasto sistema imperiale, interlocutore del moto anti-coloniale, e antagonista mondiale dell’Occidente. Quasi simultaneamente, però, il comunismo internazionale inizia la sua parabola discendente, fatta di rotture e conflitti intestini, di ossificazione e inefficienza e, infine, di perdita di legittimazione fino a un’inesorabile irrilevanza.
Le spiegazioni ricorrenti erano incentrate su aspetti importanti ma parziali: la tensione tra rivoluzione e nazionalismo, Stato-guida e «policentrismo»; il dispiegarsi del contenimento occidentale; la graduale sclerosi di un sistema economico militarizzato.
Silvio Pons che aveva già scritto pagine essenziali sulla politica estera sovietica e i limiti della sua egemonia ha scelto di andare alla radice del problema, e riconsiderare il modo comunista di stare nel mondo, la dimensione planetaria del progetto rivoluzionario e, per converso, la trasformazione globale che ha finito per bypassarlo e marginalizzarlo.
La narrazione agile ma piena, sintetica eppure esauriente muove dai caratteri fondativi della rivoluzione e dello Stato sovietico. Il comunismo nasce, nella guerra e con la guerra, come progetto di rivoluzione universale, s’immagina «demiurgo del mondo moderno» e con l’Internazionale intesse «il primo network politico proiettato su una dimensione mondiale». Ma è un mondo che esso legge in chiave rigidamente dicotomica e puramente antagonistica, elevando l’idea di guerra civile internazionale tra comunismo e capitalismo «a chiave di comprensione universale». Ciò lo costringe, pur con (rare) variazioni tattiche, in una visione militarizzata della trasformazione internazionale, e lo inchioda a un «nesso costituente» con lo Stato sovietico.
Quando la Seconda guerra mondiale consegna all’Urss la possibilità di un esteso domino territoriale, ciò si traduce in un sistema di Stati che replicano il modello sovietico e «si configurano come un mondo a parte».
Il comunismo è nel mondo, interloquisce con le lotte di liberazione anti-coloniali e incentiva dinamiche di globalizzazione perché sospinge l’Occidente a strutturarsi in chiave transnazionale e multilaterale. Ma il suo è un «modello imperiale molto più tradizionale» di quello americano e occidentale: è monocratico, gerarchico, centralizzato, totalmente statalista, asserragliato nella psicologia dell’assedio e perciò intrinsecamente, irreparabilmente separato. Tutti caratteri, questi, che «impedirono la costruzione di una comunità di destino transnazionale» a favore invece di un blocco la parola non fu e non è casuale che intanto s’impermeabilizza e in secondo luogo si legittima solo se incarnazione dell’alternativa al capitalismo. Ma la sua rigida gerarchizzazione sotto lo Stato sovietico impedisce di gestire le tensioni interne e ricomporle. Il frammentarsi dell’unità, prima con la Jugoslavia di Tito e poi, assai più portentosamente, con il conflitto sino-sovietico rivelano «la decomposizione del soggetto» che si presumeva antagonista al capitalismo liberale.
Irretita dal preconcetto di un bipolarismo sempre più apparente che reale, la potenza sovietica, pur crescendo in termini militari, non era di per sé nuova fonte di legittimazione, ma viceversa di graduale alienazione rispetto ai nuovi orizzonti culturali di interdipendenza e ai processi di diversificazione delle risorse di potenza. La sua «interazione con il mondo si fece sempre più elusiva e inefficace», e Pons perciò conclude assai persuasivamente che «l’erosione politica, culturale e simbolica del comunismo precedette, e non seguì, la crisi conclamata del sistema economico».
La «rivoluzione» della globalizzazione, insomma, sconfiggeva quella che aveva voluto essere la «rivoluzione globale» per definizione. Questa si trovava sì di fronte, come aveva previsto, a «un mondo sempre più unificato», ma che non produceva «uniformazione, ma anzi esaltava le diversità, il pluralismo, il multilateralismo». E con questo nuovo universo dell’incipiente globalizzazione «la struttura clausewitziana del progetto comunista» finiva per risultare incompatibile.
Insieme al comunismo messianico e universalistico scompariva perciò anche «ogni visione unilineare e monocausale della storia». Dopo aver immaginato la globalità, cercato di praticare la transnazionalità della politica, e forzato oltre ogni limite il tentativo di erigere una terrificante versione monocratica della modernità, il comunismo novecentesco lasciava dietro di sé solo un «profondo senso di sfiducia nei progetti universalisti».
Il libro. Da Lenin a Gorbaciov e i motivi del declino
La rivoluzione globale Storia del comunismo internazionale 1917-1991
Silvio Pons pagine XIII-424 euro 35,00
Einaudi L’ascesa e la caduta del comunismo internazionale da Lenin a Gorbaciov, passando attraverso la guerra fredda e illuminando i motivi del declino, emersi dopo la morte di Stalin.
Silvio Pons. Nato a Firenze nel 1955, e? docente di Storia dell’Europa Orientale all’Universita? di Roma «Tor Vergata» e direttore della Fondazione Istituto Gramsci. Autore o curatore di numerosi volumi dedicati alla storia della Russia sovietica e del comunismo italiano e internazionale, ha scritto tra gli altri «Berlinguer e la fine del comunismo» (Einaudi, 2006) e per Einaudi ha curato «Georgi Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca 1934-1945» (2002) e il «Dizionario del comunismo nel XX secolo» (2006-2007).
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