Tornare al passato per i giovani è rivoluzionario

     Vuole dire, e dice, molte cose il bel film 17 ragazze delle sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin (due sorelle come le autrici di Almanya). Molte di più di quelle immediatamente visibili. Evocate, suggerite attraverso una messa in scena minimale.

     Vuole dire, e dice, molte cose il bel film 17 ragazze delle sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin (due sorelle come le autrici di Almanya). Molte di più di quelle immediatamente visibili. Evocate, suggerite attraverso una messa in scena minimale.
Sullo sfondo di un caso di cronaca le Coulin hanno costruito la loro storia ambientandola in un luogo che conoscono bene. Siamo in una cittadina chiamata Lorient. Un porto bretone, versante atlantico nord occidentale. Il luogo ha una storia significativa. Ha avuto un passato importante in senso economico per via della pesca ma soprattutto in senso militare. Fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e fu culla della Resistenza. Poi, gli anni 50 portarono una ricostruzione i cui criteri architettonici e urbanistici erano lo specchio della fiducia nel futuro.
Oggi non resta più niente. La generazione dei figli e dei nipoti di chi fu protagonista degli eventi di sessanta, settant´anni fa non ha memoria né interesse per ciò che l´ha preceduta, vive alla giornata, non ha trasmesso nulla. E, in loro assenza (nel film sono solo figure sfocate, genitori tra le pareti domestiche o insegnanti a scuola), la città modello ridotta a malinconico deserto colonizzato dai fast food americani è terreno di innocenti scorribande per i loro figli sedici o diciassettenni. Le loro figlie, in particolare.
La prima a restare incinta è Camille: bella, senza padre, madre poco presente e poco materna, arrabbiata con una vita che deve averla delusa, fratello militare in Afghanistan. È la leader del gruppetto di amiche e compagne di scuola, e “contagia” tutte le altre. In poco tempo si scopre – e la notizia fa presto a fare il giro della scuola e della cittadina – che le ragazzine in attesa sono diventate diciassette. Tutte insieme.
Incoscienza, ribellione? Sì ma sottotono, senza proclami. Incoscienza poi fino a un certo punto, queste ragazze non sembrano tanto inclini al gesto provocatorio, sono anzi piuttosto posate per la loro età. Ribellione poi è una parola grossa: si propongono di creare qualcosa che è mancato a loro, di averne cura come rimproverano ai genitori di non aver fatto.
Nel film circola un´aria che fa pensare a un cinema di molto tempo fa. Quel cinema “nuovo” che, tra gli anni 50 americani e soprattutto i 60 europei, dava la parola a una figura sociale del tutto nuovo: i giovani, con le loro commoventi, maldestre, anche arroganti illusioni. Ma quelli erano i figli della guerra, reclamavano più o meno rumorosamente un posto per sé nella nuova società marcando la propria differenza ed estraneità alla generazione che rimproveravano di aver reso il mondo più brutto, ingrati per la libertà e il benessere che in realtà, pagando con lacrime e sangue, gli adulti avevano donato loro. Qui è un po´ il rovescio. Tutte le promesse provenienti dalle chiassose proteste dei grandi di oggi, allora giovani allevati nella fiducia per il futuro, sono state disattese. E il gesto rivoluzionario è quello di ricominciare dal concepire una vita.
Le interpreti sono quasi tutte non-attrici, solo due o tre (tra le quali la protagonista, Louise Grinberg, che avevamo vista in La classe) avevano già esperienza.

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