Via D’Amelio, quattro arresti. Contestata l’aggravante del terrorismo. Qualcuno, nelle istituzioni, disse ai clan che il magistrato era un muro da abbattere. In manette tre boss e un falso pentito. Grasso: la strategia della tensione non è mai finita
Via D’Amelio, quattro arresti. Contestata l’aggravante del terrorismo. Qualcuno, nelle istituzioni, disse ai clan che il magistrato era un muro da abbattere. In manette tre boss e un falso pentito. Grasso: la strategia della tensione non è mai finita
PALERMO – Aleggia l´ombra di un traditore sugli ultimi giorni del giudice Paolo Borsellino. I magistrati di Caltanissetta e della procura nazionale antimafia sono arrivati a una drammatica conclusione: «Qualche servitore dello Stato, infedele, si spinse fino al punto di additare volontariamente Paolo Borsellino come ostacolo al buon fine della trattativa». Così hanno scritto i pm nelle 1670 pagine della loro ricostruzione, che ieri ha fatto scattare quattro ordinanze di custodia firmate dal gip Alessandra Giunta: l´ultimo blitz della Dia di Caltanissetta ha raggiunto in carcere un altro dei mandanti dell´eccidio del 19 luglio ‘92, il capomafia Salvino Madonia (c´era anche lui, nel dicembre ‘91, alla riunione in cui si decise l´avvio delle stragi). Stesso provvedimento per i boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava in via d´Amelio, avrebbe fatto da talpa agli stragisti). Un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci, è accusato di calunnia.
«Questi provvedimenti sono un punto di partenza», avverte il procuratore Sergio Lari, che firma l´inchiesta con gli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, e con i sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani. L´indagine riparte dal cuore dello Stato, perché fu proprio Borsellino a sussurrare: «Non posso pensare che un amico mi abbia tradito», ha ricordato il giudice Alessandra Camassa. Era il 29 giugno, c´era anche un altro magistrato nella stanza di Borsellino, Massimo Russo: «Ci disse che qualche giorno prima era stato a Roma, per un pranzo con alti ufficiali dei carabinieri». Sia la Camassa che Russo pensarono che il traditore fosse proprio a quella cena. E adesso lo ipotizzano anche i pm: ecco perché il tassello successivo che hanno inserito nella loro ricostruzione è la deposizione della vedova Borsellino, che sembra dare un nome al “traditore”. Ricorda la signora Agnese: «Il 15 luglio, mio marito era sconvolto. Disse: “Ho visto la mafia in diretta, mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu». “Punciutu”, ovvero mafioso. I pm osservano: «Un´inquietante confidenza in relazione al capo del Ros, proprio la struttura che stava conducendo la trattativa».
Adesso, i magistrati non hanno più dubbi: il dialogo riservato di due ufficiali (il colonnello Mori e il capitano De Donno) con l´ex sindaco Vito Ciancimino segnò davvero l´inizio della trattativa fra lo Stato e la mafia. Gli uomini delle istituzioni volevano «fermare lo stragismo», così hanno sempre sostenuto. Dice il procuratore Gozzo: «La trattativa era stata comunicata ai vertici dello Stato. La dottoressa Ferraro, che aveva ricevuto la visita di De Donno, informò l´allora ministro della Giustizia Martelli, e poi Borsellino». Martelli sostiene di essersene lamentato con il ministro Mancino (che nega). Di certo, sostengono oggi i pm, il risultato dell´iniziativa del Ros fu disastroso: «È certo che Borsellino abbia saputo della trattativa, e che la sua posizione sia stata interpretata (o riportata da qualcuno, anche in maniera colposa) in modo da farlo ritenere un ostacolo o un muro da abbattere». Ma chi additò Borsellino come l´ostacolo al dialogo fra Stato e mafia? Brusca ha svelato: «Riina mi disse che c´era proprio un muro da superare».
Naturalmente, i boss avevano un scopo preciso nel trattare: «Cercare referenti politici e attenuare il carcere duro», così prosegue la ricostruzione della Procura, che adesso contesta ai boss anche l´aggravante dei fini terroristici. Qualcosa ottennero: «I 41 bis scesero dai 1200 del ‘92 ai 400 del ‘94». Chi decise? I pm non credono alla versione dell´ex ministro Conso, che ha parlato di scelta «solitaria». La Procura è convinta che la trattativa proseguì anche dopo Borsellino.
Il procuratore nazionale Piero Grasso parla di «strategia della tensione, che non ha mai abbandonato l´Italia». Dice: «Ora cerchiamo concorrenti esterni, non mandanti esterni». Oltre al “traditore”, c´è l´uomo che Spatuzza vide nel garage dove la 126 fu imbottita di tritolo, e poi l´uomo che trafugò l´agenda di Borsellino, infine il “signor Franco” di cui ha parlato Ciancimino jr. Intanto, Mori è sotto processo a Palermo, dove la Procura ha iscritto nomi eccellenti nell´inchiesta sulla trattativa: da Dell´Utri a Mannino.
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