A lcuni critici considerano il ciclo di Dune, di Frank Herbert (1920-1986), il capolavoro assoluto della narrativa fantascientifica. Senza arrivare a tanto, è indubbio che i sei romanzi dell’autore americano rappresentino una delle più appassionanti saghe che letteratura e cinema fantastici abbiano partorito, un poderoso sforzo immaginativo eguagliato da pochi altri «monumenti» del genere: la Trilogia galattica di Isaac Asimov, il Signore degli anelli di John Ronald Reuel Tolkien e Guerre stellari di George Lucas.
A lcuni critici considerano il ciclo di Dune, di Frank Herbert (1920-1986), il capolavoro assoluto della narrativa fantascientifica. Senza arrivare a tanto, è indubbio che i sei romanzi dell’autore americano rappresentino una delle più appassionanti saghe che letteratura e cinema fantastici abbiano partorito, un poderoso sforzo immaginativo eguagliato da pochi altri «monumenti» del genere: la Trilogia galattica di Isaac Asimov, il Signore degli anelli di John Ronald Reuel Tolkien e Guerre stellari di George Lucas.
L’editore Fanucci ripropone ora l’intera opera nella traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli — una iniziativa meritevole perché, a esclusione di una ristretta élite di appassionati, non sono molti i lettori italiani che possono vantarsi di avere macinato le migliaia di pagine della saga: sia a causa dei lunghi intervalli di tempo fra una puntata e l’altra, sia per la dispersione fra sigle editoriali che ne hanno di volta in volta curato le versioni italiane, sia perché la qualità dei primi tre romanzi — Dune (1964), Messia di Dune (1969) e I figli di Dune (1976) — appare superiore a quella degli ultimi tre — L’Imperatore-Dio di Dune (1981), Gli eretici di Dune (1984) e La rifondazione di Dune (1985).
Malgrado questo inevitabile «calo alla distanza», anche il più tignoso dei critici non può esimersi dal rendere omaggio alla genialità con cui l’autore ha saputo inventare e descrivere il complesso sistema ecologico di Arrakis (così i Fremen, la popolazione autoctona di Dune, chiama il suo pianeta): un mondo desertico, quasi completamente privo di acqua, che ospita i mostruosi «vermi», lunghi centinaia di metri, che secernono il melange, la sostanza da cui dipende l’intero sistema socioeconomico della Galassia, visto che la sua scoperta ha reso possibile viaggiare «in tempo reale» da un punto all’altro dell’universo.
Negli anni Sessanta, Herbert fu accolto come una sorta di «guru» dalle culture verdi e protoecologiste, che si rispecchiavano nei severi costumi anticonsumisti dei Fremen, in lotta contro l’occupazione coloniale delle truppe imperiali. Riletta con l’occhio di oggi, tuttavia, la visione di Herbert appare assai meno «rivoluzionaria»: l’universo che descrive in questa saga — ancorché dotato di armi poderose — è neo medievale, teatro di feroci lotte di potere fra despoti imperiali, feudatari, corporazioni mercantili e sette religiose, mentre i valori degli eroi della saga sono assimilabili a quelli di nobiltà guerriere e sacerdotali, che accarezzano sogni di conquista e conversione coatta più che di riforme e utopie sociali.
Al di là di ininfluenti quanto improbabili letture «ideologiche», resta la già citata capacità di inventare un sofisticato e bizzarro sistema naturale, così come resta lo straordinario racconto della millenaria evoluzione di complicati equilibri politici, culturali e religiosi.
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