La signora Fornero, ministra “tecnica”, si è adeguata. Al linguaggio dei politici da avanspettacolo. Ha dichiarato, e tutti i media hanno riferito, che non regalerà “una paccata di miliardi” se i sindacati non diranno sì alla sua “riforma del lavoro”. Come se i miliardi fossero suoi. «Una paccata», poi, espressione vernacolare che la signora Fornero non si sognerebbe di adoperare durante una lezione o in un salotto torinese. Curioso come la sobrietà dei ministri di Monti svanisca tanto facilmente.
La signora Fornero, ministra “tecnica”, si è adeguata. Al linguaggio dei politici da avanspettacolo. Ha dichiarato, e tutti i media hanno riferito, che non regalerà “una paccata di miliardi” se i sindacati non diranno sì alla sua “riforma del lavoro”. Come se i miliardi fossero suoi. «Una paccata», poi, espressione vernacolare che la signora Fornero non si sognerebbe di adoperare durante una lezione o in un salotto torinese. Curioso come la sobrietà dei ministri di Monti svanisca tanto facilmente. Quel tale sottosegretario che dà degli “sfigati” a quelli che si laureano in ritardo, ad esempio. Sarà che il gioco si fa duro. Anche un bambino capisce che la “riforma del lavoro” è, allo stato delle cose, una sottrazione: di protezione dai licenziamenti, garanzie contrattuali, sostegno ai lavoratori che la crisi – cioè il crollo dei consumi, cioè il collasso industriale, cioè l’emorragia di profitti, cioè la scomparsa del credito – avvia all’uscita. Per questo la Banca centrale europea ha messo lì la signora Fornero, e solo uno come Forrest Bersani può aggrapparsi al mito della “modernizzazione”.
Caso mai, si trattarebbe – per i sindacati – di chiedersi come e cosa altro e per quali altri scopi l’industria dovrebbe essere indotta a produrre. Magari si riuscirebbe a ri-creare posti di lavoro, magari utili alla società. Insistere sul modello trapassato è una via senza uscita, ci si ritrova a mendicare un po’ meno tagli alla cassa integrazione. E invece no, la compagna Camusso dichiara: «…la nostra posizione favorevole alla Tav l’abbiamo espressa al congresso: il paese ha un disperato bisogno di investimenti». Investimenti per fare cosa? E con che denaro? Un vecchio motto dice che per mantenere l’ordine nelle caserme bisogna che i soldati siano tenuti occupati, a costo di ordinare loro di scavare una buca e poi riempirla. La Tav ha lo stesso significato. Con l’aggravante che a finire in un enorme buco per terra in Val di Susa sarebbe la “paccata di miliardi” sottratti alle pensioni e agli ammortizzatori sociali, e in generale ai salari.
Alla manifestazione della Fiom, la settimana scorsa, ho incontrato un vecchio amico, dirigente nazionale non della Fiom ma della Cgil. Il quale mi ha spiegato come la sua organizzazione avesse deciso di scegliere sulla Tav la linea tanto cara al movimento operaio di un secolo fa: né aderire né sabotare. «La Cgil – mi ha detto – sul tema è spaccata a metà». Dopo poche ore, l’ukaze della segretaria generale. Non risulta però che l’altra metà della Cgil abbia preso parola per dissentire: forse non esiste affatto, e il mio vecchio amico si sbaglia. O forse si aspetta di capire se offrire la testa dei valsusini – come ha scritto Claudio Giorno, No Tav per decenni iscritto alla Cgil, la cui tessera ora ha resistituito – valeva qualche sconto sull’articolo 18. Ecco, non vale. La sola saggezza in circolazione è quella di Landini, segretario Fiom, il quale ha detto: su una cosa siamo d’accordo con Camusso, che, per citare le parole della segretaria generale, «è impensabile fare i lavori per anni con la valle contro». Dovrebbe valere anche per i lavori attorno alla “riforma” di Fornero.
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