Il vescovo antinazisti e quei Giusti da ricordare

I testimoni del Bene durante la Shoah e i genocidi

«Se partono loro, voglio partire anch’io». I soldati nazisti, imbarazzatissimi, non sapevano più cosa fare, davanti a quel vescovo furente che si era precipitato alla stazione e minacciava di sdraiarsi sui binari (lui, il metropolita di Plovdiv!) per non far partire i treni carichi di ebrei.

I testimoni del Bene durante la Shoah e i genocidi

«Se partono loro, voglio partire anch’io». I soldati nazisti, imbarazzatissimi, non sapevano più cosa fare, davanti a quel vescovo furente che si era precipitato alla stazione e minacciava di sdraiarsi sui binari (lui, il metropolita di Plovdiv!) per non far partire i treni carichi di ebrei.

Ha un posto tra i Giusti, quel vescovo. E a lui e a tanti altri, che rischiarono la vita loro per salvare le vittime dei genocidi, l’Europa vorrebbe dedicare una Giornata dei Giusti.
L’iniziativa che, come ricorda Gabriele Nissim, presidente del Comitato per la «Foresta dei Giusti – Gariwo», «fa onore all’Italia», è partita dagli europarlamentari Gabriele Albertini, Magdi Cristiano Allam, Sergio Cofferati, Cristiana Muscardini, Gianni Pittella, David Sassoli e altri di vari partiti ma uniti nel lanciare l’appello via via sottoscritto da decine di colleghi: «I Giusti hanno salvato l’onore dell’Europa ai tempi della Shoah: in un’epoca dominata dagli ignavi e dagli assassini, ci hanno permesso di non disperare dell’umanità, perché non hanno esitato a rischiare la vita per salvare altri esseri umani. (…) I Giusti hanno agito anche in altre situazioni, opponendosi al genocidio armeno, aiutando le vittime in Rwanda, in Cambogia o durante la pulizia etnica nell’ex Jugoslavia».
Tutti esempi di valore universale, che «ci esortano a coltivare la loro eredità e la loro convinta opposizione a ogni forma di razzismo e di discriminazione su basi etniche, sociali, politiche e religiose». Quindi «ricordare l’azione dei Giusti, rendere omaggio al Bene, mostrare che ogni individuo, per quanto umile, può compiere il gesto che salva un altro essere umano, ha un immenso valore educativo per i giovani d’oggi». Di qui l’idea: istituire, come dicevamo, «una giornata dedicata alla memoria dei Giusti». Da celebrare forse il 6 marzo, giorno della morte di Moshe Bejski, l’artefice del giardino dei giusti di Gerusalemme che Walter Benjamin «definirebbe un pescatore di perle».
Finora, racconta lo stesso Nissim, le firme dei deputati europei in calce al documento sono 109: ne servono 374. Da tirare su entro metà aprile. Ce la faranno? Speriamo di sì. Dio sa, infatti, quanto sia importante di questi tempi ricordare, ricordare, ricordare. Non solo per rendere omaggio ai Giusti più noti, come Giorgio Perlasca che, come raccontò un libro di Enrico Deaglio, salvò la vita a oltre cinquemila ebrei ungheresi fingendosi un diplomatico spagnolo. O Giacomo Gorrini, che faceva il console italiano a Trebisonda e descrisse il genocidio degli armeni. O ancora Oskar Schindler, che strappò dalla morte un migliaio di ebrei col pretesto di farli lavorare nella sua fabbrica ed è stato il protagonista di un film di Steven Spielberg. Ma anche per riscoprire la storia di altri meno conosciuti. Come appunto il vescovo Kiril di Plovdiv, l’antica Filippopoli che deve il nome al padre di Alessandro Magno. Era un uomo dalla gran barba bianca, sopracciglia nere, occhi vivissimi.
Come racconta lo scrittore Jim Forest, a cavallo tra il 9 e il 10 marzo 1943, informato che i nazisti avevano rastrellato nella regione circa 8.500 ebrei e avevano cominciato a caricarli sui treni diretti a Treblinka, il metropolita si precipitò alla stazione alla testa di 300 fedeli ortodossi. Arrivato sul posto, sotto gli occhi esterrefatti dei soldati del Terzo Reich cercò di aprire i vagoni per salirci sopra citando il libro di Ruth: «Dove tu andrai io andrò, dove ti fermerai io mi fermerò, il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio». Non bastasse, minacciò con la sua truppa di fedeli di sdraiarsi sui binari: ci provassero, a partire.
Era, come oggi, una giornata di sole in cui si affacciava la primavera. E avvenne il miracolo. Davanti alla resistenza pacifica ma implacabile del vescovo, i nazisti dovettero cedere. E gli ebrei che già erano stati caricati sui convogli piombati, vennero fatti scendere.
Non c’è solo Kiril, tra i Giusti di Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto. Ci sono altri protagonisti di quella straordinaria resistenza bulgara alla Soluzione Finale nazista. Primo fra tutti Dimitar Peshev, al quale lo stesso Nissim dedicò anni fa il libro «L’uomo che fermò Hitler». Era il vicepresidente del Parlamento, Sofia era alleata del Reich e re Boris III, di origine prussiana, aveva avuto in cambio da Adolf Hitler l’appoggio per una espansione della Grande Bulgaria a spese degli Stati confinanti. Insomma, i bulgari i nazisti li avevano in casa. E non era facile dire di no. Ma dissero di no.
E davanti alle prime avvisaglie di un rastrellamento degli ebrei, Peshev scrisse una lettera durissima riuscendo a raccogliere le firme di 42 colleghi della maggioranza e rinunciando a quelle della minoranza proprio per mostrare che non si trattava di una congiura politica: era una rivolta morale. Diceva quella storica lettera: «Non possiamo credere che ci siano dei piani per deportare questa popolazione dalla Bulgaria, come suggeriscono alcune voci a danno del governo. Tali misure sono inammissibili, non solo perché queste persone — cittadini bulgari — non possono essere espulse dalla Bulgaria, ma anche perché ciò avrebbe serie conseguenze per il Paese. Sarebbe un’indegna macchia d’infamia sull’onore della Bulgaria…»
Parallelamente, il patriarca Stefan di Sofia, amico del futuro papa Giovanni XXIII (a lungo visitatore apostolico nel Paese balcanico) e nemico dei nazisti si schierò contro le retate degli ebrei con parole nette. Spingendosi a sfidare il Reich dando asilo nella sua stessa casa al rabbino capo di Sofia e a firmare insieme con il vescovo Kiril e il presidente del Santo Sinodo, Neofit di Vidin, un documento che intimava a re Boris che Dio lo avrebbe giudicato dal suo comportamento con «i nostri fratelli ebrei».
I nazisti cedettero, ricorda Enrico Deaglio. E comunicarono stizziti a Himmler che non si poteva procedere: «I bulgari mancano della illuminazione ideologica dei tedeschi. Vivendo da troppo tempo con armeni, greci e zingari, il popolo bulgaro non vede nell’ebreo difetti che giustifichino misure speciali contro di lui».
Non un ebreo bulgaro partì per i campi di concentramento. Prima della guerra, c’erano a Sofia e nel resto del Paese 48 mila ebrei. A guerra finita sarebbero stati duemila in più.

 

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