Eduard Dreher, chi era costui? A quanto pare, in Germania ogni bravo studente di legge prima o poi deve studiare il suo commento al diritto penale. Eppure, sotto il Terzo Reich, Dreher era pubblico ministero presso il tribunale speciale di Innsbruck, un duro che chiedeva la pena di morte anche per i reati più lievi. Un uomo abile che, dopo la guerra, fece una sorprendente carriera all'interno del Ministero della giustizia fino a diventare Segretario di Stato. ">

IL GIALLO CHE FA I CONTI CON IL PASSATO NAZISTA

Von Schirach ha scritto “Il caso Collini” sulla Germania del dopoguerra

Eduard Dreher, chi era costui? A quanto pare, in Germania ogni bravo studente di legge prima o poi deve studiare il suo commento al diritto penale. Eppure, sotto il Terzo Reich, Dreher era pubblico ministero presso il tribunale speciale di Innsbruck, un duro che chiedeva la pena di morte anche per i reati più lievi. Un uomo abile che, dopo la guerra, fece una sorprendente carriera all’interno del Ministero della giustizia fino a diventare Segretario di Stato.

Von Schirach ha scritto “Il caso Collini” sulla Germania del dopoguerra

Eduard Dreher, chi era costui? A quanto pare, in Germania ogni bravo studente di legge prima o poi deve studiare il suo commento al diritto penale. Eppure, sotto il Terzo Reich, Dreher era pubblico ministero presso il tribunale speciale di Innsbruck, un duro che chiedeva la pena di morte anche per i reati più lievi. Un uomo abile che, dopo la guerra, fece una sorprendente carriera all’interno del Ministero della giustizia fino a diventare Segretario di Stato. E che nel 1968, nella distrazione generale, mentre fuori imperversavano la manifestazioni studentesche contro lo Scià, all´ultimo piano del suo ministero, concepì, scrisse e fece passare una legge che, sotto il nome innocente di “legge programmatica alla legge sull´illecito amministrativo”, con venti parole cambiò la storia. Una legge che ha vanificato di un sol colpo il lavoro di undici magistrati, 150.000 deposizioni, giganteschi processi in corso. Una legge (Volutamente sbagliata? O un errore? O tutti distratti?) che faceva cadere in prescrizione la maggior parte dei processi in corso contro i passati protagonisti e complici del nazismo. Lo Spiegel, per la verità, cinque o sei settimane dopo la promulgazione della legge, si rese conto del suo vero significato, che era praticamente un´amnistia generale per la maggior parte dei crimini perpetrati durante il regime nazista. Troppo tardi.
A raccontare questa incredibile vicenda è Ferdinand von Schirach, quarantasette anni, avvocato penalista in Berlino, scrittore finissimo di due raccolte di racconti: Un colpo di vento, pubblicato due anni fa da Longanesi, e grande successo internazionale, e Schuld, Colpa, una raccolta di racconti un po´ più cupi, ancora inediti in Italia. E ora autore di un romanzo, Il caso Collini (Longanesi, traduzione di Irene Abigail Piccinini, pagg. 176, euro 14), che si sviluppa, in forma di noir processuale, proprio attorno agli effetti della legge Dreher. Un noir che comincia con una scena di violenza in una stanza dell´elegante Hotel Adlon di Berlino, oggi. Ma che tocca la storia personale di von Schirach.
Perché Ferdinand von Schirach è nipote di quel Baldur von Schirach che fu il capo della Hitlerjugend, poi governatore di Vienna e organizzatore della deportazione degli ebrei viennesi, condannato a Norimberga a venti anni di prigione e uscito giusto in tempo perché Ferdinand bambino ne registrasse qualche ricordo.
E qualche tratto di questo nonno tragico c´è nel personaggio di Hans Meyer, il grande vecchio industriale al tempo stesso dolcissimo e durissimo, massacrato nel corso del brutale omicidio perpetrato da Fabrizio Collini, l´assassino confesso che non vuole né parlare e spiegarsi, né aiutare il suo giovane avvocato d´ufficio a difenderlo.
E per fortuna che questo insiste, indaga, e scopre qualcosa che riguarda tutti e che nella realtà ha che fare con il processo celebrato ad Amburgo nel 2002 contro Friedrich Engel, membro delle SS e capo dei servizi di sicurezza di Genova, responsabile di una rappresaglia in cui vennero fucilati cinquantanove prigionieri al passo del Turchino. Engel che, anche se condannato in primo grado da un tribunale e in attesa di un secondo giudizio a cui lo avrebbe sottratto la morte, visse tranquillamente ad Amburgo fino alla bella età di ottant´anni.
La realtà, quindi, von Schirach, è entrata di nuovo nelle sue storie. Questa volta con tocchi più personali.
«Sa, a ogni intervista finivano per chiedermi del mio rapporto con mio nonno. Di cui ho saputo qualcosa per la prima volta quando avevo dodici anni, vedendo la sua foto su un libro di storia. Quando ne ho avuto abbastanza di queste domande, ho deciso di scrivere finalmente qualcosa sul nazismo. O meglio, su cosa la repubblica federale tedesca ha fatto dell´eredità nazista. Su come la giurisprudenza tedesca ha trattato il problema della colpa e della responsabilità dopo il 1945».
Appunto. Cosa è cambiato dal ´45 ad oggi?
«Credo che nel 1950 Hans Meyer, il grande industriale che viene assassinato nel mio romanzo, sarebbe stato assolto del suo passato nazista. Engel no. La generazione dei giudici che hanno condannato Engel era vicina per età alla mia. Tutti noi siamo cresciuti con un´altra mentalità, con un´altra coscienza, con l´esperienza della storia alle spalle, nella convinzione che uno non può sparare a qualcuno solo perché quel qualcuno ha sparato a uno dei tuoi. Ma in Germania dopo la guerra le persone erano le stesse che avevano dei ruoli nell´età nazista. Non c´era nessun altro, o ben pochi: da dove dovevano venire?».
E cosa è successo?
«Che all´inizio una legge ha vietato di dare cariche pubbliche a chi aveva un passato nazista. Ma ci si è presto resi conto che le cose non potevano andare avanti così. Ed è arrivata una ordinanza nota come “Huckepackverfahren”, o “come viaggiare con qualcuno sulle spalle”, secondo la quale, per ogni persona che non aveva un passato nazista, se ne poteva assumere una compromessa con il nazismo. Poi quell´una è diventata due, poi tre. Con quel che segue».
Lei parla diffusamente di quello che chiama “il principio del capo”.
«Un´altra deformazione della giustizia del mio Paese. Quando a Norimberga i grandi colpevoli sono stati giudicati e condannati – Borman, Donitz, Hess, Goering – i loro sottoposti son stati considerati complici e ne sono usciti indenni. Può immaginare un processo per narcotraffico, ora, in Sudamerica, in cui si condannano solo i capi e i sottoposti e ne vanno liberi? Da qui, anche, il bisogno di distinguere tra colpa, che riguarda i protagonisti del Terzo Reich e finisce con la loro morte, e responsabilità, un´eredità che si portano dietro anche le nuove generazioni, l´impegno a non far succedere mai più quello che abbiamo vissuto».
La nipote di Meyer, Johanna, si chiede, nell´ultima pagina del libro, “sono anch´io tutto questo?”, alludendo all´eredità di orrore che le lascia il nonno nazista, e che il nazismo ha lasciato alla Germania. Lei cosa risponde?
«Quello che rispondo nel libro: “Tu sei la persona che sei”. Ma ci vuole molto lavoro per arrivarci».

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