Quei nomi sono il ricordo di un passato peggiore del presente, che nessuno ricorda volentieri.
«Alla fine i servizi segreti immoleranno qualche ragazzo di campagna». La profezia risale al novembre 1997 ed è contenuta in un volantino di Valsusa libera, molto sedicente organizzazione che insieme ai fantomatici Lupi grigi rivendicò quindici azioni contro la futura Torino-Lione. Sono tanti quelli convinti che la storia della Tav sia spuntata come un fungo all’inizio della scorsa estate.
Quei nomi sono il ricordo di un passato peggiore del presente, che nessuno ricorda volentieri.
«Alla fine i servizi segreti immoleranno qualche ragazzo di campagna». La profezia risale al novembre 1997 ed è contenuta in un volantino di Valsusa libera, molto sedicente organizzazione che insieme ai fantomatici Lupi grigi rivendicò quindici azioni contro la futura Torino-Lione. Sono tanti quelli convinti che la storia della Tav sia spuntata come un fungo all’inizio della scorsa estate. Non è così. Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas riportano a un tempo lontano nel quale il livello di scontro era carsico. Meno frontale di quello odierno, ma forse anche più pericoloso e oscuro, in ogni senso.
A metà degli anni Novanta la Val di Susa è un posto particolare, dove vengono ritrovati veri e propri arsenali, percorso da strani personaggi come Franco Fuschi, collaboratore del Sisde, trafficante d’armi, reo confesso di undici omicidi, killer in proprio e per conto del crimine organizzato. In uno scenario cupo cominciano gli attentati contro il nascituro progetto dell’Alta Velocità. Cabine elettriche Enel, il portone di una chiesa, il ripetitore Rai, il Pendolino, la Telecom. Le rivendicazioni sono strane. Otto azioni vengono firmate da «Valsusa libera», poi dai «Lupi grigi», sigle alle quali è impossibile attribuire un volto. Accanto a citazioni di ex militanti partigiani si alternano a messaggi trasversali alle forze politiche locali, al punto che gli inquirenti ipotizzano un possibile coinvolgimento dei servizi deviati.
Il 5 marzo 1998 i carabinieri arrestano Silvano Pellissero, enigmatico personaggio della valle, insieme a due presunti complici, Edoardo Massari detto Baleno, 34 anni, leporediese vicino agli ambienti anarco-squatter torinesi, e la sua fidanzata argentina, Maria Soledad Rosas, 24 anni. Le indagini sulla coppia rivelano pratiche maldestre con esplosivi rudimentali, ma certificano solo una «bomba» di vernice al Tribunale di Torino. Massari è un ex riparatore di biciclette, figlio di genitori impegnati nel sociale, profilo corrispondente a quello del ragazzo di campagna contenuto nella profetica lettera di cui sopra. Due settimane dopo si impicca in cella alle Vallette, il carcere di Torino. L’11 luglio si uccide Maria Soledad. Era ai domiciliari nella comunità «Sotto i Ponti» del gruppo Abele a Bene Vagienna, nel Cuneese, e la morte della ragazza scatena un’ondata di veleni e insinuazioni. Il suo fondatore, Enrico De Simone, si toglie la vita a settembre.
La prima conseguenza della tragica fine dei due militanti è una manifestazione guidata dai compagni di Massari che devasta il centro di Torino. La seconda è l’avvio della stagione dei pacchi bomba, anch’essi anonimi. Alcuni hanno destinatari inattesi come Pasquale Cavaliere, consigliere comunale dei Verdi che più di ogni altro si era battuto per l’innocenza di Massari e Rosas, anche lui suicida nel 1999, e l’attuale sindaco di Milano Giuliano Pisapia, all’epoca di Rifondazione comunista.
Pellissero, anarchico molto anomalo, viene condannato nel 2000 per associazione sovversiva. Un tipo particolare. Nel 1981 gli esplode l’arsenale che teneva nel pollaio e viene arrestato dai carabinieri del generale Dalla Chiesa. All’epoca omogeneo agli ambienti dell’estrema destra, nel 1992 riappare in valle dove frequenta i circoli leghisti inneggiando alla lotta armata. La sua vicenda si intreccia anche con i traffici d’armi di Fuschi, che intanto nel 1999 ha ammesso la paternità di almeno cinque attentati attribuiti ai sempre più fantomatici Lupi grigi. Oggi Pellissero vive in Francia, appena oltre il confine. C’è chi sostiene abbia ancora contatti con l’area anarchica che si oppone alla Tav. Parla poco o niente, anche se di cose da raccontare ne avrebbe.
I nomi di «Baleno» e «Sole» intanto sono finiti sui muri di Torino e di altre città, nelle rivendicazioni di azioni come quella di Milano, simboli sconosciuti ai più, sempre assimilati all’area anarchica, che li considera vittime di una macchinazione. Ma la loro memoria non è patrimonio condiviso, dal movimento No Tav, tutt’altro. La vicenda che li travolse segna uno spartiacque nella protesta contro la Tav. Non è un caso che l’anno seguente, nel 1999, nasca a Bussoleno il Comitato di lotta popolare che costituisce la prima commistione tra locali e centri sociali torinesi. Di un’altra parrocchia, però, che fa riferimento all’autonomia e con gli anarchici che salgono in valle ha spesso rapporti burrascosi.
La protesta cambia segno, diventa in chiaro, non più trama oscura e spesso ambigua, ma contrapposizione diretta e dichiarata, seppur ancora senza gli eccessi violenti di oggi. Gli attentati finiscono come per incanto, comincia un’altra storia che conduce fino ai giorni nostri. Nelle manifestazioni in valle, il nome dei due ragazzi morti suicidi non è mai citato, mai sentito i capi dell’attuale movimento No Tav parlarne in pubblico.
L’eterno ritorno di Baleno e Sole, sempre citati a sproposito, con i loro nomi che svolgono solo una funzione identitaria, evoca un passato atroce e oscuro che proprio nessuno, da una parte e dall’altra della barricata, ha interesse a ricordare fino in fondo.
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