10 anni, già  terroristi. Per Israele

Mahmud Alami, 10 anni, ricorda bene quando, un anno fa, i soldati israeliani lo arrestarono nel suo villaggio, Beit Ummar, nel sud della Cisgiordania, accusandolo di aver lanciato sassi contro la loro jeep. «Mi ammanettarono e bendarono – racconta il bambino -, mi schiaffeggiarono intimandomi di confessare, mi chiesero di fare i nomi degli altri bambini del villaggio che lanciano sassi alle automobili dei coloni israeliani e ai veicoli militari.

Mahmud Alami, 10 anni, ricorda bene quando, un anno fa, i soldati israeliani lo arrestarono nel suo villaggio, Beit Ummar, nel sud della Cisgiordania, accusandolo di aver lanciato sassi contro la loro jeep. «Mi ammanettarono e bendarono – racconta il bambino -, mi schiaffeggiarono intimandomi di confessare, mi chiesero di fare i nomi degli altri bambini del villaggio che lanciano sassi alle automobili dei coloni israeliani e ai veicoli militari. Risposi che non avevo fatto nulla ma loro continuavano ad urlarmi in faccia di confessare». A casa il bambino ritornò solo a tarda sera e il ricordo di quelle ore trascorse nelle mani dei soldati non lo abbandona ancora. Mahmud è uno delle decine di minori palestinesi che ogni mese sono fermati, molto spesso arrestati, dall’esercito israeliano, quasi sempre per lancio di sassi. Lo denuncia la sezione svedese di Save the Children in un rapporto diffuso nei giorni scorsi, aggiungendo che al momento ci sono 170 ragazzini palestinesi, di cui 26 tra i 12 e i 15 anni, rinchiusi in carcere in Israele. Solo nel 2010 sono stati 1.200 i minori arrestati dalle forze di sicurezza. Le violenze fisiche e mentali a cui vengono sottoposti – denuncia l’organizzazione che tutela l’infanzia – hanno conseguenze a lungo termine sulla loro integrità mentale.Tre anni di studi condotti da Save the Children e dalla Ymca, su un campione di 292 minori, rivelano inoltre che il 98% è stato vittima di violenze sia al momento dell’arresto che in prigione, riportando nel 90% dei casi disordini psicologici post-traumatici. Per Israele le pietre che lanciano i ragazzi palestinesi possono ferire o uccidere e, per questo motivo, questa minaccia deve essere presa sul serio. Il portavoce militare riferisce anche di casi di coloni e soldati che hanno riportato danni fisici permanenti a causa dei sassi scagliati dai palestinesi. Save the Children è andata oltre il momento dell’arresto. Nel rapporto riferisce di processi senza avvocato ai quali i genitori degli arrestati non possono partecipare, confessioni in ebraico che bambini e ragazzi palestinesi vengono obbligati a firmare pur senza comprendere, oltre alla carenza di assistenza medica, celle malsane e sovraffollate di minori stipati insieme a prigionieri adulti. Tante le testimonianze raccolte: «Faccio fatica a respirare, in prigione mi sono ammalato… ma la mia richiesta di poter farmi visitare da un dottore non è mai stata accolta». Isolamento e impossibilità di contatto con la propria famiglia sono stati riscontrati in molti casi. Il rapporto di Save the Children affronta anche la violazione del diritto di non essere vittima di torture, trattamenti inumani e degradanti. «Abusi fisici e mentali come la privazione del sonno, l’isolamento e minaccie di abuso sessuale o imprigionamento a tempo indefinite – si legge – sono metodi spesso usati contro bambini palestinesi per estorcere le confessioni». Il diritto internazionale impone l’applicazione di una legislazione speciale per i minori, definiti tali sino all’età di 18 anni. Per Israele però i palestinesi sono bambini solo fino ai 12 anni e la maggior parte degli ordini militari applicati nei Territori occupati non fa alcuna distinzione tra bambini over 12 e adulti.

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