CONCERTI «Three tales» coproduzione di Steve Reich e Beryl Korot
CONCERTI «Three tales» coproduzione di Steve Reich e Beryl Korot
ROMA. Abbiamo una video-opera con musica minimalista. O ripetitiva, se si preferisce (c’è chi disputa sulla legittimità di uno solo dei due termini). Sullo schermo il video assai elaborato. Sul palco un ensemble di dieci strumentisti (classico quartetto d’archi, due pianoforti, due vibrafoni, due percussioni) più cinque vocalisti. Tutto amplificato, strumenti e voci, con matematiche variegate intersezioni tra le parti. Se disponessimo di una bella regia del suono potremmo renderci conto dell’interesse più o meno forte del lavoro. Eventualmente goderne. Se la regia del suono, insomma l’azione al mixer e quindi la resa e intelligibilità dei suoni nell’ambiente dato, non è buona e probabilmente ingannevole, l’esperienza dell’ascolto si rivela frustrante, piuttosto afflittiva. E il giudizio sulla video-opera rimane sospeso. Ancor più se la stessa esecuzione complessiva (che comprende, però, inevitabilmente, la regia del suono) è caratterizzata da una certa pesantezza di eloquio e da una sagacia ritmica ridotta.
Si parla di Three Tales. Autori il celebre compositore americano Steve Reich e l’altrettanto celebre videoartista Beryl Korot, sua partner anche nella vita, oltre che in altre produzioni. Sala Sinopoli dell’Auditorium romano con i suoi storici problemi di acustica. L’ensemble strumentale è il Pmce (Parco della Musica Contemporanea Ensemble) diretto da Tonino Battista, il gruppo vocale è il Ready Made Ensemble diretto (qui fuori scena) da Gianluca Ruggeri. C’è un supervisore audio che va doverosamente nominato: Tommaso Cancellieri.
I tre avvenimenti cruciali del secolo passato che Reich e Korot prendono come spunto sono il disastro nel 1937 del dirigibile Hindenburg, vanto dell’industria nazista, gli esperimenti nucleari americani a partire dal 1946 nell’atollo di Bikini (isole Marshall), la clonazione della pecora Dolly nel 1996. Tre momenti di concreto/possibile conflitto tra «meraviglie» scientifiche/tecnologiche ed esiti complicati per il genere umano. Gradi diversi di complicazione. Gradi diversi di danni per le persone. Ma gli autori sembrano porre in generale una questione etica. Lo Zeppellin che prende fuoco e precipita (30 morti) è costruito per la gloria imperiale di Hitler in unisono con la preparazione dei suoi piani di aggressione militare, il fungo atomico di Bikini costa deportazioni in massa e malattie a vasto raggio, la pecora Dolly lascia il campo a un robot scemotto, semi-umano (neanche antipatico a dire il vero), forse il tipo di individuo destinato a popolare la terra in futuro, mentre scienziati filosofi e sacerdoti si attardano a discutere con le loro facce in primo piano.
Il video di Korot gioca sulle sezioni scomposte e ricomposte delle immagini, con taglio netto, diverse messe a fuoco degli oggetti e ripetizioni, niente dissolvenze. Ricostruisce avvenimenti su un piano temporale del tutto libero, monta con efficacia ma con molta «impassibilità» documenti d’epoca preziosi e rari, vedi le scene della deportazione degli abitanti di Bikini. Inventa utilizzando materiali già esistenti, a parte il robot del finale. Ma è un prodotto filmico del tutto autonomo, non giornalistico né documentaristico.
Che le musiche di Reich siano complementari, anzi parallele ma in fusione, è scontato. Chissà tra i due coniugi chi ha cominciato che cosa e in che momento. È noto che Reich, come tutti i minimalisti (non solo i musicisti), non sopporta di essere definito minimalista. Forse per questo motivo, per sfuggire alla maledizione di una etichetta indesiderata, si è sforzato nella seconda parte della sua carriera (la prima è segnata dalla magnificenza di lavori come Drumming e Music for 18 Musicians) di emanciparsi dai nuclei melodico-ritmici brevissimi, ripetuti e «sfasati», per dilatare minimamente (siamo sempre lì…) le linee melodiche e articolare con episodi più mossi in senso «narrativo», secondo tradizione, le sue partiture.
In Three Tales questo sforzo si risolve in sottolineature più che altro didascaliche delle immagini durante Hindenburg e Bikini (il video non manca di mostrare una serie di quei costumi da bagno che dall’atollo nuclearizzato presero il nome) e riapproda al suo originario lessico in Dolly, con efficacia indubbia e maggior incisività dei timbri.
E le voci? In genere per tutto il lavoro si fronteggiano e solo un po’ si accompagnano con fondali di note tenute all’andamento ritmico, meccanico eppure appassionato, delle parti strumentali. Questi interventi in controcanto e parzialmente «a contrasto» delle voci assumono di volta in volta i toni della malinconia lirica e dell’ammonizione solenne (persino liturgica qua e là). Se si potessero percepire, con/contro gli strumenti, nella loro effettiva realtà fonica, si potrebbe dire quanto fascino arriva da loro. Parecchio, probabilmente.
0 comments