Se la Merkel Chiede Perdono per i Crimini dei Neonazisti

 BERLINO — È ancora accesa, e non deve spegnersi, quella candela «per la speranza e per il futuro» che due giovani donne di origine turca, i cui genitori sono stati uccisi dalla cellula neonazista scoperta quasi per caso nei mesi scorsi, hanno portato fuori dalla Konzerthaus di Berlino, in una giornata che la Germania ha dedicato, solennemente, alle dieci vittime di quelli che furono chiamati «gli omicidi del kebab».

 BERLINO — È ancora accesa, e non deve spegnersi, quella candela «per la speranza e per il futuro» che due giovani donne di origine turca, i cui genitori sono stati uccisi dalla cellula neonazista scoperta quasi per caso nei mesi scorsi, hanno portato fuori dalla Konzerthaus di Berlino, in una giornata che la Germania ha dedicato, solennemente, alle dieci vittime di quelli che furono chiamati «gli omicidi del kebab». Poco prima Angela Merkel aveva chiesto perdono. Aveva chiesto perdono a Semiya Simsek e a Gamze Kubasik, all’anziano pensionato Ismail Yozgar, che ha tenuto tra le braccia mentre moriva il figlio ventunenne Halit, a tutti gli altri familiari di vittime che per troppo tempo non hanno nemmeno avuto il diritto di esserlo. Perché dal 2000 al 2007 Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos hanno percorso tutta la Germania spargendo sangue, hanno confezionato video sconvolgenti, sono stati protetti dalla rete che agisce allo scoperto dei movimenti neonazisti. Ma la polizia, nel frattempo, interrogava i parenti di chi era stato ucciso. Li sospettava, seguiva la pista della criminalità organizzata, del traffico di stupefacenti. Semiya lo ha denunciato dal palco, con coraggio. La cancelliera lo ha ammesso e ha offerto le sue scuse. «Questi delitti senza precedenti sono stati un attentato alla nostra democrazia. Ed è stata una vergogna che la loro matrice sia stata nascosta così a lungo. È l’amara verità. Questi anni sono stati per voi un incubo senza fine», ha detto la Merkel, vestita di nero, più volte quasi sopraffatta dall’emozione. Si è impegnata a fare di tutto perché la memoria non cancelli mai crimini tanto efferati contro persone scelte per caso, compiuti con la freddezza dell’odio, tra quei tanti emigrati che pensavano di aver trovato una nuova patria, un lavoro, un’esistenza dignitosa. «Noi dimentichiamo troppo velocemente — è stata la sua riflessione — forse perché siamo impegnati in altro, forse perché ci sentiamo impotenti, forse per indifferenza».
Ieri, quindi, è stato il momento della riparazione. Ma niente può tornare come prima, come del resto ha promesso la cancelliera, perché gli «omicidi del kebab» («capiti» soltanto dopo il suicidio dei due assassini e il ritrovamento dell’arma) devono essere un punto di svolta per stimolare un’azione più efficace contro la galassia della destra estrema, al di là dell’ipotesi di mettere fuori legge il partito neonazista Npd, bloccando per esempio a tutti i livelli la propaganda verso le giovani generazioni. E per lavorare a fondo nella battaglia contro i rigurgiti di razzismo che attraversano una società moderna e integrata come quella tedesca. Quando si parla, infine, dei milioni di cittadini che hanno radici straniere, si tratta di insistere, come è giusto, sul capitolo dei doveri senza però dimenticare quello dei diritti, anche di quelli che sembrano acquisiti. Intanto, Semiya pensa di tornare a giugno in Turchia. Si chiedeva da tempo, come ha detto nel suo discorso senza lacrime, se la Germania fosse diventata la sua casa. Per il momento ha deciso di lasciarla.

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