LIRICA Al Massimo di Palermo la prima regia operistica di Terry Gilliam
Dal Romanticismo alla seconda Guerra Mondiale: un affresco della storia tedesca che parte da Berlioz
LIRICA Al Massimo di Palermo la prima regia operistica di Terry Gilliam
Dal Romanticismo alla seconda Guerra Mondiale: un affresco della storia tedesca che parte da Berlioz PALERMO. Una delle questioni più dibattute a proposito della Damnation de Faust di Hector Berlioz, accanto alla più generale domanda sulla reale appartenenza della composizione al genere operistico, riguarda la definizione del protagonista della vicenda. Dopo una gestazione lunga e frammentata, la versione conclusiva della non-opera assegna senza dubbio a Faust la posizione di protagonista. Terry Gilliam, fra i più originali registi cinematografici di oggi, dopo aver resistito a tante offerte di teatri d’opera, ha ceduto al fascino della strana creatura di Berlioz, e la messa in scena, creata alla English National Opera, ha ottenuto la scorsa primavera un successo travolgente. Il Teatro Massimo ha intelligentemente agganciato il carro della cooproduzione, assicurandosi per l’inaugurazione della stagione 2012 la prima esecuzione dello spettacolo nella lingua originale, il francese, dal momento che a Londra era comparso in lingua inglese.
L’idea guida di Gilliam, alla prima regia d’opera e per sua stessa ammissione poco vicino alla musica e ai meccanismi della scena operistica, si fonda su una fascinazione per la storia e la cultura tedesca coltivata per decenni: Gilliam integra i frammenti del Faust musicati da Berlioz in un complesso affresco della storia tedesca, dal Romanticismo alla Seconda Guerra Mondiale. In questo modo Gilliam risolve in un sol colpo il problema dell’unitarietà drammatica dell’opera e tramuta i protagonisti, Mefistofele in testa, Faust e Margherita nelle diverse personificazioni dell’anima tedesca, attraverso le drammatiche vicende della storia del paese e dell’intera Europa (curioso, nel 1921 il compositore Pfitzner, entusiasta di Hitler della prima ora scrive un ampio oratorio intitolato Dell’anima tedesca). Qualche innegabile forzatura – e lievi aggiustamenti del libretto – viene risolta con sapienza e ingegno, facendo leva su un’ironia acre al confine con il grottesco.
Emergono le scene di massa: la Marcia Ràkòczy è un tragico balletto di alleanze fra Imperi, che cercano un nuovo ordine dell’Europa nella I guerra mondiale; la Canzone della pulce si muta in una odiosa scenetta antisemita, il quadro «icona» del romanticismo tedesco, il Viandante di Friedrich si trasforma nella terrazza della villa hitleriana, mentre la sognante scena del bosco racconta anche una rappresentazione wagneriana, con Faust che tenta il risveglio di Brunnhilde-Marguerite, finendo invece per addormentarsi nel fuoco accanto a lei. Seguono le Olimpiadi di Monaco, Margherita che vagheggia Faust alla luce di una menorah, mentre fuori si consuma la Notte dei Cristalli, e poi si strugge d’amore su un convoglio diretto ai campi di sterminio. La salvazione all’ultimo, attraverso l’orrore della Shoah, mentre Faust è quasi sprofondato nel baratro, oscenamente crocefisso alla svastica. Una lettura complessa e riuscita, che può destare sconcerto ma non lascia indifferenti.
Molto coinvolti i tre protagonisti: ben a fuoco il Faust di Gianluca Terranova, ottima prova di cantante-attore per Lucio Gallo – Mefistofele, qualche menda vocale stemperata nel turbinio dello spettacolo, dolce e partecipe la Margherita di Anke Vondung, ottimo l’intervento del Brander di Enrico Iori, in camicia bruna. Roberto Abbado riesce con tratto misurato e tempi calibrati a mantenere viva l’identità musicale di Berlioz piegandone al tempo stesso colori e impasti a una linea unica, capace di assecondare sempre il fluire dello spettacolo. L’orchestra lo segue con entusiasmo, il coro molto meno, purtroppo. Successo caloroso per il solitamente riservato pubblico palermitano.
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