San Vittore ricorda Cannavò «Campione di solidarietà »

Migliaia di kit di prima accoglienza per detenuti Milano, carcere di San Vittore. Una sera come tante, qualche anno fa. Telefona l’ispettore addetto ai controlli in entrata e uscita: «Tutto bene?». Risponde l’ufficiale di guardia: «Sì, ma qui c’è ancora Candido Cannavò. Che facciamo, lo teniamo dentro?».

Migliaia di kit di prima accoglienza per detenuti Milano, carcere di San Vittore. Una sera come tante, qualche anno fa. Telefona l’ispettore addetto ai controlli in entrata e uscita: «Tutto bene?». Risponde l’ufficiale di guardia: «Sì, ma qui c’è ancora Candido Cannavò. Che facciamo, lo teniamo dentro?».
L’aneddoto viene dall’archivio affettivo di Elio Trifari, presidente della Fondazione Cannavò. E non stupisce chi conosceva bene lo storico direttore della Gazzetta dello Sport: una volta entrato in contatto con la realtà della casa circondariale milanese, armato di taccuino, andava spesso dietro le sbarre, per raccogliere testimonianze e sensazioni. È per questo che mercoledì, in occasione del «Candido Day» (giornata dedicata al giornalista scomparso il 22 febbraio 2009) San Vittore sarà protagonista. Con iniziative benefiche e novità.
«Candido aveva preso a cuore quel mondo — racconta Trifari — perché aveva capito che pochi traumi eguagliano quello dell’impatto con le sbarre». Dignità, memoria, storia personale: tutto sparisce davanti a quei cancelli, specie se si tratta di centri di prima accoglienza, dove si finisce anche per reati più leggeri. «Grazie al ricavato di alcune iniziative come I piedi buoni del calcio e a una lotteria — continua Trifari — regaleremo migliaia di kit di prima accoglienza, con prodotti per l’igiene e una felpa». Non a caso. «Quasi sempre chi arriva qui è in condizioni igieniche spaventose — dice la direttrice dell’istituto, Gloria Manzelli — e il soccorso immediato è fondamentale». Importante è anche l’attività fisica: mercoledì verrà annunciato il ripristino di un campetto da gioco e la costruzione di uno spazio sportivo nuovo in due reparti del carcere. E l’allestimento di una palestra per la polizia penitenziaria: un’altra intuizione di Candido (come lo chiamavano familiarmente quasi tutti) era stata quella di non sottovalutare mai il rapporto tra detenuti e guardie, che riteneva importante nell’armonia degli istituti.
Ecco perché i lavori di sistemazione verranno svolti da poliziotti e da detenuti. E c’è infine un altro passo avanti, stavolta in favore delle famiglie: abbellire e arricchire il cosiddetto «spazio giallo», dove i reclusi incontrano i figli piccoli, altro nervo scoperto. «Provate a pensare — dice Manzelli — a un ragazzino che viene a trovare un genitore detenuto. Un trauma. C’è bisogno di spazi adatti, magari con personale qualificato».
Candido lo aveva capito. Come aveva capito che quei quasi ottomila sfortunati che, in un modo o nell’altro, transitano ogni mese a San Vittore (la popolazione stabile in media è di 1.750 detenuti per 900 posti), hanno bisogno sì di beni materiali, ma hanno bisogno soprattutto di essere raccontati. Lui entrò in carcere munito di taccuino e della sua proverbiale bonomia, forte anche dell’amicizia con l’allora direttore Gigi Pagano. Diede vita a un libro («Libertà dietro le sbarre», Rizzoli) e a un ricordo ancora oggi vibrante. Nelle parole di Manzelli, la prima donna al comando di San Vittore in 125 anni di storia, Cannavò è ancora qui, ironico, incline all’ottimismo, battuta pronta. Come fosse ieri.

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