Marco Bechis: “Non è cambiato nulla”. Il documentario “Il sorriso del capo” assembla materiali provenienti dall’Istituto Luce. “Penso a Berlusconi: i mezzi di oggi non tengono lontana la manipolazione”
Marco Bechis: “Non è cambiato nulla”. Il documentario “Il sorriso del capo” assembla materiali provenienti dall’Istituto Luce. “Penso a Berlusconi: i mezzi di oggi non tengono lontana la manipolazione”
FOLLE sterminate che osannano, parate precise come orologi svizzeri, sguardi adoranti di donne che si levano verso di lui. E neonati accuditi da infermiere efficienti in nidi moderni e lindi, scolaretti in grembiuli tutti uguali che rientrano in classe ordinati, segno della croce e saluto fascista alla maestra.
E poi intraprendenti squadre di Balilla che salvano bambine smarrite, giovani italiane impegnate in leggiadri gesti atletici, madri che allattano orgogliose nuovi italiani, operosi operai e nerboruti minatori fieri del loro sudore. Com’era bella l’Italia nei filmati dell’Istituto Luce, più che immagine reale, però, rappresentazione ideale di un paese modello, quello che doveva essere l’Italia fascista.
Un paese illuminato dal Sorriso del capo, titolo emblematico del nuovo film di Marco Bechis che svela la fabbrica del consenso del Duce utilizzando le sue stesse armi, le più potenti: le riprese dei cinegiornali, i filmati di propaganda e i documentari di allora. Il cinema, insomma. Il documentario, applaudito all’ultimo festival di Torino, arriva in anteprima milanese sabato (alle 18 alla presenza del regista, che ci sarà anche alle repliche delle 16.30 e delle 18 di domenica) per l’inaugurazione della sala di proiezione del nuovo Mic, il Museo interattivo del cinema della Cineteca alla Manifattura Tabacchi, aperto per l’occasione nel fine settimana. In 73 minuti Bechis – autore di due film che raccontano gli orrori delle dittature, Garage Olimpo e Figli/Hijos – unisce materiali selezionati in tre mesi di lavoro («mi sono affidato all’istinto, altrimenti ci avrei messo sei anni», scherza) e legati non da una voce off né da un criterio cronologico, ma per analogia, «lasciando parlare il materiale, col suo audio originale, senza commento».
Il risultato è strepitoso, e non lascia dubbi: «L’archivio dell’Istituto Luce da cinquant’anniè considerato un serbatoio di immagini del reale. Io l’ho considerato per quello che è: un serbatoio di finzione storica. È l’archivio del reale manipolato dal fascismo. Non vi troveremo mai migranti con valigie di cartone, scugnizzi e prostitute, ma immagini di una Roma magnifica, parate, scolaretti precisi».
Un popolo felice di far felice il suo capo, «in un perseverare di meccanismi catastrofici che non sono cambiati. L’idea mi è venuta un anno fa, in pieno berlusconismo. Anzi, paradossalmente i media più sofisticati che abbiamo oggi, Internet, i giornali, non servono a difendere il popolo dalla manipolazione». Perché la manipolazione è benevola, familiare, come il Duce in un comizio del 1932 a Torino, scelto da Bechis e dal cosceneggiatore Gigi Riva a punteggiare l’intero film: «Lui lì è scamiciato, simpatico, non ha quell’aria marziale che avrebbe assunto in seguito. È il capo che sorride al popolo, che dice “io sono il popolo”. E il popolo gli sorride. C’è empatia». Una trappola in cui è facile cadere. Riccardo Bechis, nato nel ’21, padre del regista e testimone narrante nel film, lo ammette: “Quell’uomo, a rivederlo oggi, mi sembra Charlot. E quasi mi vergogno a dire che allora mi aveva preso, commosso”.
Mic viale Fulvio Testi 121, sabato (ore 18) e domenica (ore 15, 16.30 e 18), ingresso libero, prenot. 3469582555
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