Pena di morte Triste primato: 676 nel 2011

È una classifica triste, e l’Iran arriva primo: si tratta del numero di condanne a morte eseguite. Da tempo lo segnalano diverse organizzazioni per i diritti umani, e il 2011 segna un record, secondo i dati raccolti dall’ong intrnazionale Iran Human Rights (Ihr).

È una classifica triste, e l’Iran arriva primo: si tratta del numero di condanne a morte eseguite. Da tempo lo segnalano diverse organizzazioni per i diritti umani, e il 2011 segna un record, secondo i dati raccolti dall’ong intrnazionale Iran Human Rights (Ihr). Nel suo rapporto annuale, Ihr afferma di aver raccolto notizia di 676 persone messe a morte: ovvero, afferma che alle 416 esecuzioni ufficialmente registrate dalle autorità iraniane bisogna aggiungerne altre 260 segnalate da fonti non ufficiali.
Certo, anche solo il dato ufficiale fa impressione; nel 2000 Amnesty aveva segnalato 165 condanne a morte eseguite, scese a 75 nel 2001, salite a 316 nel 2002, e poi costantemente aumentate.
Quando si contesta a un rappresentante del governo iraniano questo uso crescente della pena capitale, di solito ci si sente rispondere: «mettiamo a morte persone condannate per reati gravi come l’omidicio o il traffico di droga, e allora? Anche gli Stati uniti lo fanno». Già, è vero: e infatti anche gli Usa sono molto criticati da chi si batte per l’abolizione della pena capitale. Ma è sconsolante che gli Usa siano presi a metro della “barbarie consentita”.
Secondo Iran Human Rights non è solo aumentato in modo allarmante il numero di esecuzioni ma è più frequente che avvengano in pubblico (65 casi nel 2011, tre volte più della media degli ultimi anni). E secondo Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce internazionale di Ihr, «le autorità iraniane usano la pena di morte come strumento politico»: il regime «lega la sua sopravvivenza alla capacità di diffondere il terrore».
Il raporto annuale di Ihr è stato presentato in Italia martedì dalla Commissione speciale per i diritti umani del Senato, presieduta da Pietro Marcenaro – il quale ha fatto notare che le condanne aumentano «perché usate come strumento di intimidazione e terrore contro l’opposizione, ma questa non è stata sconfitta perché in Iran c’è ancora una società che si muove».
La pena capitale ovviamente non è usata solo o in particolare verso dissidenti politici. Secondo i dati ufficiali, delle condanne eseguite nel 2011 il 71% era per reati legati al traffico di droga, 13% per violenza sessuale, 7% per omicidio, 4% per il reato di moharebeh («inimicizia con dio», reato spesso apppioppato a chi ritenuto coinvolto in movimenti di lotta armata contro lo stato), un 1% per sodomia (l’omosessualità è considerata un crimine).

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