L’essenza del Duca, la sfida dell’orchestra

MUSICA Parker, un omaggio a Ellington
Il contrabbassista rilegge il suo maestro con una formazione inedita agli Aperitivi concerto

MUSICA Parker, un omaggio a Ellington
Il contrabbassista rilegge il suo maestro con una formazione inedita agli Aperitivi concerto
«Uno degli insegnamenti che ci viene dall’ascolto dei maestri è di non imitarli»: è un encomiabile cardine della filosofia musicale di William Parker, che il contrabbassista richiama per spiegare come il suo omaggio a Ellington non voglia essere tanto una reinterpretazione del repertorio del Duca, quanto un tentativo di estrarre dalla sua poetica un distillato. Di qui l’intestazione del programma, «The Essence of Ellington», tanto corretta nell’intenzione quanto involontariamente enfatica e inutilmente rischiosa.
Figura emblematica del jazz contemporaneo, catalizzatore di tutta una scena d’avanguardia newyorkese a dominante neroamericana, personaggio-cerniera tra il free storico e le generazioni post-free, Parker si è fatto un punto di onore di proporre come leader musica propria o dei propri partner, in uno sforzo di originalità e di freschezza, in un dovere di espressione di una propria individualità, e nel rifiuto drastico del passatismo, del comodo riciclo, del farsi grandi dei nani che salgono sulle spalle dei giganti. Unica notevole eccezione il suo rinomato progetto sul cantante soul Curtis Mayfield. Di tutto rilievo quindi quest’altra eccezione, relativa poi ad un monumento come Ellington, e ad un Ellington che per Parker rappresenta indirettamente anche la figura del padre: da bambino il piccolo William ha formato la sua sensibilità musicale sui dischi di Ellington, che il papà adorava (e con cui segretamente sognava di vedere un giorno suonare i figli). Difficile dunque supporre che l’appuntamento fosse preso sotto gamba.
Ulteriore motivo di interesse dell’operazione presentata in prima assoluta per questo lato dell’oceano al Teatro Manzoni (nell’ambito di Aperitivo in concerto: domenica mattina come tradizione del ciclo, e sala colma come al solito), il formato orchestrale: in Italia si sono avute rare occasioni (Verona Jazz ’98, Ai confini tra Sardegna e Jazz 2005) di ascoltare Parker come leader in questa dimensione a cui peraltro tiene molto. La presenza nella formazione di diversi fedelissimi (Roy Campbell, tromba, Rob Brown, Sabir Mateen, Dave Sewelson, ance, Steve Swell, trombone, Dave Burrell, piano, Hamid Drake, batteria, oltre ad un ospite di prestigio come l’anziano Kidd Jordan al sax tenore) deponeva a favore. Gli esiti di Parker alla testa di formazioni orchestrali sono per la verità diversi: talvolta emozionanti nella loro risoluta, avventurosa contemporaneità, talvolta meno convincenti. Purtroppo in questo caso il problema non è stato nemmeno quello della qualità del lavoro orchestrale: era piuttosto che il lavoro orchestrale c’era assai poco. Non è obbligatorio rendere omaggio a Ellington utilizzando lo strumento di Ellington, l’orchestra. Ma se lo si fa è paradossale e frustrante impiegarla solo a sprazzi, affidando il grosso di due ore di concerto – pochi brani: Sophisticated Lady, In A sentimental Mood, Take The A Train, Caravan e due originali – ad una sequela di assoli. Naturalmente anche buonissimi – come la bella introduzione a Caravan di Rob Brown al sax alto – ma spesso apparsi anche un po’ casuali rispetto all’universo che si intendeva evocare; senza contare un un cantante-dicitore, Ernie Odoom, alquanto indigesto. Forse Parker è un po’ tradito dalla sua generosa disponibilità a impegnarsi in una quantità di direzioni che negli ultimi anni sono diventate probabilmente eccessive.
Agli Aperitivi comunque il merito di un cartellone tutt’altro che ordinario. L’orchestra di Parker arrivava dopo la Blues Orchestra di David Murray, con ospite James Blood Ulmer: magari non l’«essenza» del blues, ma un gran bel set, con un’orchestra che dava soddisfazioni pienamente orchestrali.

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