Il trattamento penitenziario “non può essere affidato a chi ha scopo di lucro” e che potrebbe  sacrificare la libertà  altrui per aumentare i profitti personali. È, inoltre, “palesemente incostituzionale affidare la gestione della salute dei detenuti ad un imprenditore privato”.

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Italia, carceri: Antigone si oppone alla privatizzazione

Il trattamento penitenziario “non può essere affidato a chi ha scopo di lucro” e che potrebbe  sacrificare la libertà  altrui per aumentare i profitti personali. È, inoltre, “palesemente incostituzionale affidare la gestione della salute dei detenuti ad un imprenditore privato”.

Il trattamento penitenziario “non può essere affidato a chi ha scopo di lucro” e che potrebbe  sacrificare la libertà  altrui per aumentare i profitti personali. È, inoltre, “palesemente incostituzionale affidare la gestione della salute dei detenuti ad un imprenditore privato”.

L’associazione Antigone, che da anni si occupa della tutela dei diritti nel sistema penale, si oppone per questo motivo fermamente alla privatizzazione delle carceri. Una norma, contenuta nel dl liberalizzazioni, attualmente in discussione al Senato, introduce infatti lo strumento del “project financing” per la realizzazione delle strutture carcerarie.

Nel corso di una conferenza stampa al Senato, oggi, il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha chiesto che la norma venga “cassata” o, in alternativa, che venga “emendata per specificare meglio quali sono le funzioni essenziali non assegnate ai privati, cioè trattamento, salute, lavoro dei detenuti e management”. La richiesta dell’associazione è stata accolta da alcuni senatori, tra cui il radicale Marco Perduca e il democratico Vincenzo Vita, che si sono detti pronti a emendare il testo o a presentare delle interrogazioni parlamentari al riguardo.

Antigone delinea una serie di gravi rischi connessi alla privatizzazione degli istituti di detenzione: il rischio di esplosione del sovraffollamento, poiché i privati hanno tutto l’interesse economico che le carceri siano piene, il rischio di corruzione dei giudici, il rischio di discriminazione dei detenuti a seconda di chi gestisce il carcere privato, di esplosione della violenza e di assoggettamento a lavoro forzato. Questi rischi sono stati evidenziati sulla base dell’esperienza già maturata in altri Paesi e si dimostrano particolarmente preoccupanti in relazione alla specifica situazione odierna dell’Italia.

Negli Stati uniti, dove la privatizzazione ebbe inizio nel 1984, la violenza delle guardie è del 49 percento superiore nelle carceri private rispetto a quanto avviene in quelle pubbliche; le violenze sui detenuti sono il 65 percento in più. L’Ufficio statistico del Ministero della Giustizia ha affermato inoltre che non si è beneficiato di alcun risparmio economico.

A Philadelfia, l’11 agosto scorso, il giudice Mark A. Ciavarella è stato condannato a 28 anni di carcere perché prendeva tangenti da imprese costruttrici e proprietarie di carceri private al fine di mandare in galera bambini in quantità industriali, poiché le società erano pagate a numero di prigionieri da custodire. Furono violati i diritti di 4mila bambini. Queste sono le carceri private americane.

Stefano Anastasia, dell’università di Perugia, ha messo in luce che “il progetto è impraticabile dentro il nostro ordinamento: non c’è profitto a meno che non si mettano in discussione i limiti”, ossia le competenze dello Stato. L’obiezione dell’associazione è dunque di principio, ma anche legata al contesto del nostro Paese.

Un esempio italiano che dovrebbe far riflettere sulle conseguenze di una gestione privata delle carceri è quello della struttura di Sassari, la cui costruzione è stata avviata nel 2005 e non è mai terminata. I lavori furono “appaltati a privati, all’Ati Anemone Srl-Irgit Spa” e nell’assegnazione dell’appalto ebbe un ruolo il celebre Angelo Balducci.

È necessario “decidere di investire i soldi per mantenere quello che c’è e cambiare le leggi che producono carcerazione eccessiva”, ha aggiunto Gonnella.

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