Daniele Vicari (Ansa)
Primo successo per il cinema italiano alla Berlinale, con la conquista da parte del film «Diaz. Non pulire questo sangue»
Daniele Vicari (Ansa)
Primo successo per il cinema italiano alla Berlinale, con la conquista da parte del film «Diaz. Non pulire questo sangue»
ROMA – Non è un tipo dalla commozione facile Daniele Vicari. Ma il regista non riesce a nascondere, neanche al telefono, la felicità per il premio del pubblico nella sezione Panorama del Festival di Berlino guadagnato dal suo Diaz. Non pulire questo sangue. «Ne sono felicissimo. Quando è stato selezionato nella sezione Panorama ero contento, ma sapendo che c’era solo il premio del pubblico, non avrei mai pensato di poterlo vincere». L’opera di Vicari, prodotta dalla Fandango di Domenico Procacci, è uno dei tre film della sezione Panorama ad aver vinto il premio del pubblico alla Berlinale. Il primo premio, per numero di voti, è andato a Parada di Srdjan Dragojevi e il terzo al brasiliano Xingu di Cao Hamburger. Alla fine della proiezione pubblico in piedi ad applaudire.
Elio Germano nel film
PROCESSO – Vicari – che ha dedicato il riconoscimento «al cinema italiano a cui sta tornando finalmente la forza di raccontare cosa davvero accade in questo paese» – ha visto il suo film per la prima volta insieme al pubblico. «L’ho finito quattro giorni prima del festival, e ora siamo di nuovo in moviola per limare. Sinceramente non pensavo che la reazione degli spettatori sarebbe stata così immediata. E’ un film duro». Una storia italiana e, insieme, universale. «E’ stato il motivo per cui mi sono appassionato. Leggendo gli atti ho preso coscienza che quella di Genova e in particolare della Diaz è una vicenda che riguarda il mondo. L’ dentro c’erano solo 14 italiani su 93, il processo ha coinvolto centinaia di persone di tutto il mondo , svizzeri, tedeschi, neozelandesi, americani». E proprio sul processo è costruito il film. «Perché» spiega Vicari «il proceso ha avuto un andamento quasi cinematografici, così complesso che ha richiesto continui flash-back, andirivieni nel tempo da parte dell’accusa e della difesa».
VICENDA – E’ rimasto «prigioniero» del film per tre anni, Vicari. Ma i giorni del G8 genovese sono difficili da dimenticare anche per chi non ci è stato. Le violenze di quel 13 luglio alla Diaz ancor di più. Lì si ritrovarono giornalisti, ragazzi venuti da ovunque per manifestare contro la globalizzazione. Nessuno di loro poteva immaginare la brutalità dell’assalto alla Diaz da parte della polizia: botte e violenze, persone portate in carcere dove continuarono le violenze. Reporter, pensionati che cercavano un letto per la notte, giovani curiosi. La scusa ufficiale: due bombe Molotov e sedicenti anarchici mai trovati.
USCITA 13 APRILE – Tante le voci che parlano e raccontano nel film, non un unico punto di vista. «Noi non cerchiamo di convincere nessuno». Diaz uscirà in Italia il 13 aprile in 100 copie. E certo il premio aiuterà a creare un’attenzione che superi le polemiche preventive che ne hanno accompagnato la lavorazione. Non nasconde un rimpianto Vicari. «Mi dispiace moltissimo non averlo potuto girare in Italia, perché un film così porta ricchezza: 10mila comparse, 200 persone di troupe, 120 attori, con tutto l’indotto. Abbiamo ricostruito tutto a Bucarest, solo per costruire la strada di duecento metri, un mese e mezzo di lavoro di artigiani. Noi ne siamo orgogliosi: è un film indipendente ma con un grande impegno produttivo». Il premio alla berlinale è stato importante anche perché ha spinto i buyer all’acquisto. E’ già stato venduto in una quindicina di paesi.
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