Gramsci, manca un quaderno

I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci giunsero a Togliatti, da Mosca, il 3 marzo 1945. Il viceministro degli esteri sovietico, Vladimir Dekanozov, scrive il 20 aprile 1945 all’ufficio informazione internazionale del Pcus: il 3 marzo sono stati consegnati a Ercoli (cioè a Togliatti) 34 quaderni dei lavori di Antonio Gramsci. La lettera di Dekanozov fu pubblicata da Giulietto Chiesa su «La Stampa» il 12 maggio 1992.

I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci giunsero a Togliatti, da Mosca, il 3 marzo 1945. Il viceministro degli esteri sovietico, Vladimir Dekanozov, scrive il 20 aprile 1945 all’ufficio informazione internazionale del Pcus: il 3 marzo sono stati consegnati a Ercoli (cioè a Togliatti) 34 quaderni dei lavori di Antonio Gramsci. La lettera di Dekanozov fu pubblicata da Giulietto Chiesa su «La Stampa» il 12 maggio 1992.
Il 29 aprile ’45, al Teatro San Carlo di Napoli, Togliatti in persona, nel corso di un epocale comizio che si apre con una commemorazione di Gramsci, annuncia: «Egli ci ha lasciato un patrimonio letterario prezioso, il risultato di questo suo lavoro, di questi suoi studi: 34 grossi quaderni, come questo — eccone uno — coperti di una scrittura minuta, precisa, uguale». (Il testo di questo discorso si può leggere nel volume: Palmiro Togliatti, Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972, pagina 45).
La testimonianza è preziosa. Togliatti, che ha ricevuto i Quaderni da circa due mesi, decide di «lanciare» la grande notizia in una circostanza molto solenne: celebra la vittoria definitiva sul fascismo (Mussolini è stato ucciso il giorno prima) e l’anniversario (27 aprile) della morte di Gramsci. E decide addirittura di mostrare al pubblico uno dei Quaderni. E annuncia: «Noi in questi giorni siamo nuovamente venuti in possesso di questo capitale prezioso che a grande fatica riuscimmo al momento della morte di Gramsci a strappare al carcere ed imprenderemo la pubblicazione di questo materiale il quale arrecherà una sorpresa a molti per l’acutezza e la profondità dell’analisi, per l’audacia delle conclusioni».
Tutti e 34 i quaderni sono coperti di una «scrittura minuta, precisa». Dunque nel computo Togliatti non include i due quaderni «lasciati completamente in bianco» (evocati da Gianni Francioni sull’«Unità» il 2 febbraio scorso).
Dunque i Quaderni erano per l’appunto 34: trenta di ricerche e riflessioni, quattro di traduzioni. (Invece, l’edizione Gerratana — che esclude i 4 di traduzioni — comprende solo 29 quaderni «di lavoro teorico»). Se computiamo i 4 di traduzioni (A, B, C, D) si giunge a 33. Se si aggiungono i due «bianchi» si sale a 35. Comunque non a 34; e nemmeno si scende ai 32 indicati quattro volte nella Relazione sui quaderni del carcere di Felice Platone («Rinascita», anno III, aprile 1946, pagina 81).
Inoltre né 32 né 34 sono cifre «tonde» o approssimative. E Togliatti non pare fosse un tipo approssimativo. Il problema sollevato da Franco Lo Piparo nel suo recente saggio per Donzelli, dal titolo un po’ ad effetto I due carceri di Gramsci, è dunque fondato. A meno che non si debba includere nel computo il registro consegnato da Tania, peraltro tuttora inedito.

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